Il cucchiaio, le alette, l’holeshot e ogni tipo di diavoleria. Per tutti, ormai, Ducati è pioniera dell’innovazione trovandosi nel ruolo riconosciuto di quelli più copiati di tutta la MotoGP. Anche Dennis Noyes, una delle voci più autorevoli tra quelle che commentano la Classe Regina ha recentemente lodato gli ingegneri di Borgo Panigale, definendo la Desmosedici una sorta di aereo della Seconda Guerra Mondiale e attribuendo a tutti gli altri il ruolo di “copiatori”. Non in senso dispregiativo, sia inteso, ma comunque sottolineando che in casa Ducati le novità arrivano prima e che i tecnici della Rossa hanno intuizioni che magari tutti gli altri non hanno.
Bello! Soprattutto perché riconoscimenti così stimolano l’orgoglio italiano, ma noi di Mowmag siamo acciaccapidocchi per natura e siamo andati un po’ indietro con la storia. Non troppo, ma quel poco che è bastato per farci capire che i pionieri sono sì italiani, ma non sempre hanno avuto la residenza a Borgo Panigale. C’era una volta, infatti, una Ducati Desmosedici che poteva contare su un motore pazzesco, ma che aveva difficoltà a fare le curve e che solo un certo Casey Stoner, aiutato da una annata di gomme fortunate, era riuscito a far vincere grazie al suo pazzesco talento. Quella Ducati Desmosedici, che pure tutti riconoscevano come “la più potente”, ha stentato tanto sia prima che dopo Stoner, tanto da dover abbandonare, anni dopo, uno dei suoi punti fermi: il telaio a traliccio. I risultati faticavano ad arrivare e i problemi di quella moto così rabbiosa ma così indomabile sembravano tutt’altro che spariti. Così a Borgo Panigale qualcuno è salito su una macchina, arrivando fino a Noale, dove lavorava un certo Gigi Dall’Igna. Uno che di telai se ne intendeva parecchio e che in quel periodo era al servizio di Aprilia. Da un’italiana all’altra, quell’ingegnere col pizzetto è riuscito a disegnare un telaio molto simile a quello di Aprilia e che si prestasse bene alla tanta potenza della Desmosedici.
Più recentemente, invece, si è molto parlato di holeshot, il dispositivo che abbassa la moto in partenza e, da quest’anno, anche sui rettilinei. Altro marchingegno demoniaco che per tutti è figlio della creatività Ducati, ma la verità sembra essere un’altra. Perché? Perché i fatti dicono che i primi a portare in pista l’holeshot, almeno all’anteriore, sono stati altri italiani: ancora una volta quelli di Aprilia. Con Ducati che, e questo gli va assolutamente riconosciuto, ha poi avuto il merito di migliorarlo, adattarlo anche al posteriore e renderlo performante sulla sua Desmosedici. Aleix Espargarò, recentemente, ci ha pure provato a dirlo: “L’holeshot all’anteriore lo hanno inventato in Aprilia, ma sembra che nessuno se ne sia accorto”. In effetti no: se ne sono accorti in pochi e quei pochi che lo sapevano hanno “mantenuto il segreto (di Pulcinella)”. Ma c’è anche un altro precedente. Quale? Il cucchiaio! La famosa appendice posta davanti alla ruota posteriore, infatti, è stata un’altra delle innovazioni che vengono riconosciute a Ducati, ma non sono stati quelli di Borgo Panigale a pensarci per primi. Lo avevano progettato, prima ancora, quelli di Aprilia, ricevendo però un secco no dalla commissione che autorizza o meno l’introduzione di nuove componenti. Cucchiaio tolto e Aprilia “tornata normale”, salvo poi ritrovare, l’anno successivo, quello stesso dispositivo sulla Desmosedici, questa volta autorizzato e definito regolare perché non ritenuto una appendice aerodinamica, ma un “raffreddatore” di pneumatico.
Insomma, vinceranno poco o niente, non saranno vistosamente rossi ma più timidamente neri e, in fondo, noi italiani possiamo essere comunque orgogliosi, ma a Noale farebbero bene a ribadire, ogni tanto, l’importanza di mettere i puntini sulle i-nnovazioni!