In Austria, tra le montagne, un lembo di asfalto largo a malapena sette metri ha rovinato l’amicizia tra Norris e Verstappen, ha congelato definitivamente i rapporti tra Vettel e Leclerc. Su un pendio della Stiria si sono aggrovigliate le traiettorie di Marquez e Lorenzo, di Hamilton e Rosberg, di Schumacher e Montoya: filosofie di guida e di vita spesso opposte che, nel bel mezzo di un tornantino qualsiasi, hanno preferito lo scontro al dibattito, l’integrità morale a quella fisica. È un punto in cui sono volati gestacci, in cui la potenza degli insulti non è stata contenuta dai caschi ed è finita per appoggiarsi, smorzata ma non troppo, sui microfoni. È qui che la morte ha sfiorato Valentino Rossi.
Curva tre, la chiamano Remus. Posto più altolocato del Red Bull Ring, che chiamano Zeltweg e anche Spielberg. È un rampino a destra da prima marcia, spalmato sulle contropendenze di un pianoro dalle dimensioni ridotte. Paragonabile alla sommità di un comprensorio sciistico, curva Remus somiglia all’arrivo di quella seggiovia arroccata lassù, come ultimo avamposto artificiale prima del cielo: guardi in alto e respiri purezza, guardi in basso e vieni conquistato da un profondo senso di rispetto per la montagna. Spesso tira vento, il meteo cambia più velocemente della sigla del telegiornale, non ci sono rifugi nelle vicinanze ma solamente ripide salite che a seconda dei punti di vista possono trasformarsi in discese. Passare per la Remus è obbligatorio, sostarvici non è piacevole: mancano i presupposti per fermarsi e discutere amabilmente di filosofia e progetti futuri, non c’è tempo per la teoria ma solo per la pratica. Anche durante la bella stagione – col sole, i pascoli e i prati verdi ad addolcire i profili della Stiria – alla Remus devi farti trovare pronto.
Nel maggio del 2001 la Remus illuminò i nervi scoperti di Schumacher e Montoya che – decisi ad imporre la legge del più forte – assaporarono la via di fuga in ghiaia e regalarono la vittoria a David Coulthard. “La cosa fastidiosa – commentò poi Juan Pablo - è che nessuno provava a lottare con lui. Quando Michael arrivava da dietro, tutti si spostavano. Questo mi ha fatto inca**are, perché era come se non nessuno osasse fott**rlo”. Nettamente più distesi sembravano essere i rapporti tra Max Verstappen e Lando Norris, almeno fino al mese scorso, quando entrambi per motivi di orgoglio si sono dimenticati di prendere la corda della tre per percorrerla esternamente, appaiati come buoni amici che intanto si bucano le gomme a vicenda, rinunciano al trionfo e scaricano qualsiasi responsabilità sugli obiettivi delle telecamere. Nel 2016 un contatto simile tra Hamilton e Rosberg produsse le ultime scintille di un rapporto di stima e ammirazione scoccato ai tempi della loro infanzia, precipitato quando i due si sono trovati a lottare per il titolo mondiale con lo stesso mezzo. La convivenza in rosso tra Vettel e Leclerc, nata sotto una buona stella, si è consumata lentamente per le pressioni che tra i muri del Cavallino Rampante galoppano e mettono a dura prova anche le coppie più indissolubili. Di certo l’immagine scattata alla Remus nel 2020, con il retrotreno della #5 di Sebastian divelto dalla fiancata della Ferrari di Charles, non ha attutito il logoramento.
Il primo a comprendere le misure da adottare per uscire dalla Remus indenni e contenti è stato Jorge Lorenzo: nel 2018 sopporta ripetute e aggressive incursioni di Marc Marquez e – all’ultimo giro – lascia che la Honda del 93 si appoggi sulla carena della sua Ducati, prima di sfruttare l’accelerazione desmodromica, di fingere che alla treci si possa divertire in due e di tagliare il traguardo, un’ultima volta, davanti a tutti. A Zeltweg, contro Marquez, Dovizioso ha applicato più o meno la stessa strategia del Porfuera. Più o meno perché Andrea, furbo com’è, ha sapientemente scelto di lasciar perdere qualsiasi manovra avventata e potenzialmente maledetta alla Remus. Giocarsi il tutto per tutto nella soave discesa che contraddistingue l’ultima curva dello Spielberg ha dato ragione al Dovi sia nel 2017 che nel 2019.
Per scoprire che il destino delle nostre vite venga amministrato da questioni di centimetri non era di certo necessaria la Remus e il segnale che i satelliti raccolsero da quel tornantino di montagna, finito in mondovisione nel 2020: mentre l’umanità vive una prima tregua dal Covid, le carcasse impazzite delle Ducati di Zarco e Morbidelli deflagrano a millimetri di distanza dalle teste di Valentino Rossi e Maverick Vinales. Tutti parlano di miracolo e tragedia sfiorata, tanti denunciano Zarco per la sua condotta di gara, qualcuno propone di rivedere la geometria delle barriere di protezione alla Remus e il layout del primo settore di Zeltweg, per evitare che in cima alla tre le moto arrivino baldanzose e sconsiderate ad oltre trecento orari.
Dal 2022, con l’introduzione di una chicane denominata 2a-2b, i piloti sono più protetti dai giochetti che la sorte e curva tre talvolta si inventano per ammazzare il tempo. La Remus ha assunto contorni più gioviali, più rassicuranti, meno sinistri. Eppure, se nella settimana di Ferragosto avete esaurito i gialli, i romanzi dai contorni noir che sotto l’ombrellone vi fanno brillare gli occhi, dovete sapere che la MotoGP corre in Austria. Alcuni spettatori si nascondono nel sottobosco che avvolge curva Remus per non pagare il biglietto e godersi un po’ di mistero.