All’Apt di Rotterdam il tennis si scrolla di dosso le consuetudini per indossare il vestito dell’imprevisto. I riflettori, anziché illuminare le certezze del circuito, si spostano almeno momentaneamente su volti nuovi e storie inattese. La copertina, senza indugi, la conquista Mattia Bellucci: classe 2001, mancino dal talento luminoso e dal braccio che disegna geometrie come un pittore fiammingo sulla tela di un torneo che, per una volta, sorride a chi meno te l’aspetti.
Bellucci, l'arte della sorpresa
Contro Daniil Medvedev, uno che un tempo sedeva sul trono del tennis mondiale e ancora oggi abita stabilmente tra i migliori dieci del pianeta, Bellucci non ha avuto timori reverenziali. Ha giocato da pari a pari, sfidando non solo l’avversario ma anche il fantasma della propria inesperienza. Ha vinto il primo set 6-3 con autorità, ha sfiorato la chiusura nel secondo, cedendo solo al tie-break dopo un match-point sfumato, per poi riprendersi la scena nel terzo set con un altro 6-3 che profuma di consacrazione. Un’impresa? Forse. O forse solo la naturale evoluzione di un talento che sta trovando la propria voce nel coro del tennis mondiale.
Berrettini e la sconfitta amara
Se Bellucci sorride, Matteo Berrettini mastica amaro. La sua uscita di scena contro Tallon Griekspoor, dopo due ore e mezza di battaglia, lascia un brutto sapore in bocca e nello spirito. Il punteggio – 6-3 6-7(3) 7-6(4) per l’olandese – racconta di una sfida in cui il romano ha pagato caro un primo set giocato a bassa intensità e un doppio fallo fatale nel tie-break decisivo. Il tennis, si sa, è sport crudele: un singolo errore può cancellare ore di buon gioco. Matteo lo sa, e le sue parole riflettono la consapevolezza di chi, pur deluso, non smette di credere nel proprio percorso: “Ho cercato di rimanere concentrato fino alla fine, ma a questi livelli ogni dettaglio fa la differenza”.
![Mattia Bellucci a Rotterdam](https://crm-img.stcrm.it/images/42314911/2000x/20250206-105312048-2584.jpg)
Alcaraz e le palle troppo grandi
A restituire un po’ di colore all’azzurro ci pensa Andrea Vavassori, soprannominato “Wave” come chi cavalca l’onda, soprattutto in doppio. Eppure, stavolta, l’azzurro ha brillato in singolare, superando Felix Auger-Aliassime in una partita rocambolesca, complice anche il ritiro del canadese per problemi fisici. Ma il vero spettacolo lo ha regalato il piemontese con colpi da cineteca, tra cui un front-tweener da applausi. Successiva e difficilissima fermata: Carlos Alcaraz.
Alcaraz e il dilemma delle palline
Già, Alcaraz. Il numero 3 del mondo ha vinto all’esordio contro Botic van de Zandschulp, ma più che il punteggio (7-6, 3-6, 6-1), a far notizia sono state le sue dichiarazioni post-match. “Ho fatto delle buone sessioni di allenamento per adattarmi, ma è stato difficile. Nuove palle, tutto sembra andare molto veloce e dopo due o tre scambi, la palla diventa molto grande ed è un po’ complicato riuscire a giocare in modo aggressivo. Non voglio però lamentarmi di questo, so che posso crescere di livello”. Un refrain che trova eco nelle parole di Medvedev: “Ci sono palle lente e campi lenti. Non è una cosa nuova, io sto cercando di fare il massimo e so di star giocando bene nonostante questi campi e queste palline”.
Il problema delle palline, a quanto pare, continua a essere un nervo scoperto nel circuito. Alcaraz lo sottolinea con la stessa naturalezza con cui aggredisce la rete: “Penso che l’anno scorso ci siano stati molti infortuni. Devono cambiare qualcosa e so che lo faranno. Ogni settimana, abbiamo palline diverse, condizioni differenti, quindi è difficile adattarsi”.
![alcaraz](https://crm-img.stcrm.it/images/42316508/2000x/alcaraz.jpg)
Arnaldi e la voglia di crescere
Intanto, dall’altra parte dell’oceano, a Dallas, Matteo Arnaldi dopo aver battuto Eubanks cerca il pass per i quarti contro Davidovich Fokina. La top 30 è un obiettivo alla portata e la voglia di affermarsi nei tornei che contano si legge nei suoi occhi prima ancora che nel suo dritto esplosivo.
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