Eliminare Medvedev, campione 2023 e numero 7 del mondo (ma fino a pochi mesi fa molto più alto). L’impresa è servita, e sul cemento di Rotterdam ha il volto incredulo di Mattia Bellucci, il ragazzo che, a chi glielo avevo chiesto, aveva risposto serissimo: “Arrivare dove è arrivato Sinner si può, lo possono fare anche altri e lo potrei fare anche io”. Ecco, sì, lui. Il mancino di Busto Arsizio, cresciuto a Castellanza, senza sponsor ma con una bandana che renderebbe orgoglioso McEnroe, che si è preso la scena battendo e abbattendo Daniil Medvedev, uno che di solito viene considerato una specie di muro tennistico con le gambe.
Non uno di quei successi fortuiti, di quelli che l’avversario ha il gomito storto e la racchetta fuori fase. No. Bellucci ha giocato contro Medvedev. Ha vinto 6-3 il primo set, ha rischiato di chiudere in due, si è fatto riprendere al tie-break del secondo dopo essere stato sotto 4-1, e poi ha messo il turbo nel terzo, ancora 6-3, mandando a casa un ex numero uno del ranking come se fosse la cosa più normale del mondo.
Alla fine del match, il volto di Bellucci era un mix perfetto tra gioia e incredulità. “Una delle idee che avevo per questa partita era quella di provare a divertirmi in campo, ho cercato di giocare il più possibile con il serve and volley, che a volte può essere una soluzione”, ha raccontato, come se fosse la cosa più ovvia del mondo affrontare Medvedev tirandogli addosso volée e servizi slice come caramelle.
E poi c’è stato quel punto, quello di cui parleranno per giorni. Il servizio da sotto. Sì, contro Medvedev. “L’ho visto molto lontano, quindi in quel momento ho pensato: ‘Se non lo faccio adesso non lo posso fare mai più’. Ovviamente non volevo mancargli di rispetto, ho solo provato a tirarlo fuori dalla sua posizione”. Genio o follia? Chiedetelo a Medvedev.
![Mattia Bellucci a Rotterdam](https://crm-img.stcrm.it/images/42314911/2000x/20250206-105312048-2584.jpg)
Un ragazzo qualunque con un sogno qualunque. O forse no.
Bellucci non è la classica storia del predestinato. Non ha fatto i giri del circuito junior come una promessa da copertina. È cresciuto con suo padre Fabrizio, maestro nazionale e primo coach, allenandosi nei campetti dove si respirava più polvere rossa che glamour da Atp. “Fino ai 18 anni ho studiato al liceo linguistico Fermi a Castellanza, dove avevo l’obbligo di frequenza. I professori mi venivano incontro con il programma, ma non potevo certo assentarmi a lungo”, racconta.
Poi ha deciso di saltare il circuito junior. Niente Under 18, niente passerelle. Subito tra i “grandi”, nei Futures sperduti, raccattando i primi punti Atp con la stessa naturalezza con cui oggi batte un top 10. “Mi ci sono voluti altri tre anni di vagabondaggio prima di individuare il team giusto per me”, confessa. Quel team è la Mxp Tennis, con Fabio Chiappini come direttore tecnico, uno che l’ha visto crescere e ora lo esulta ad ogni volée contro Medvedev.
La strada per Rotterdam (e per il cuore del tennis mondiale)
Il suo primo Itf? Monastir, 2021. Poi altri cinque titoli e, soprattutto, due Challenger vinti di fila nel 2022: a Saint-Tropez e Vilnius. Nel 2023 arriva la qualificazione all’Australian Open, il primo Slam nel tabellone principale. A settembre, un altro titolo Challenger a Cassis. Sembrerebbe una storia lineare, ma il tennis di Bellucci è tutto fuorché lineare.
Ad Atlanta, nell’Atp 250, vince le sue prime partite nel circuito maggiore. Poi Washington, Us Open, dove batte Stan Wawrinka, mica l’ultimo arrivato. Salta di qua e di là, Challenger e tornei Atp, in un mix di successi, sconfitte al quinto set, match point annullati e occasioni perse. Ma sempre con quella convinzione sotto la bandana: “Se l’altro ha più potenza di te, è più alto e più robusto, puoi sempre trovare un modo per metterlo in crisi”.
E così eccolo a Rotterdam, senza sponsor, senza clamore, ma con un tennis che non si vede più tanto spesso: mancino, fantasia a palate, un repertorio classico che fa impazzire gli avversari. Serve and volley, colpi in controtempo, slice velenosi, persino, appunto, un servizio da sotto a Medvedev, per ricordargli che non si può mai abbassare la guardia.
![Danil Medvedev eliminato da Bellucci](https://crm-img.stcrm.it/images/42314947/2000x/20250206-105624767-8369.jpg)
Sinner? Un obiettivo, non un confronto
La storia di Bellucci si intreccia inevitabilmente con quella di Jannik Sinner, anche perché entrambi sono nati nel 2001. “Ricordo ancora bene quella partita del 2014, lui è ossessionato dal fatto che non voleva perdere ma anche io ero ossessionato dal match. A quel tempo Jannik era un chiodo, per niente strutturato: più alto di me, ma magrolino. Nonostante ciò già allora vedevi determinate caratteristiche, già allora aveva una buona mano. A quei tempi comunque con il mio gioco gli davo sicuramente fastidio”.
Non si tratta di nostalgia, ma di consapevolezza. Bellucci sa dove vuole arrivare. “La grandezza di Jannik viene dal lavoro. Lui non è un alieno come disse Bublik nel 2021. Arrivare dove è arrivato lui si può, lo possono fare anche altri e lo potrei fare anche io”.
Il futuro? Tsitsipas o Griekspoor. E poi chissà.
Ora tocca ai quarti di finale contro uno tra Stefanos Tsitsipas e Tallon Griekspoor. Poco importa chi sarà. Mattia Bellucci ha già dimostrato che non conta il ranking, il curriculum o il nome sull’altra metà del campo. Conta la voglia di divertirsi, come ha detto lui stesso. E la consapevolezza che, a volte, basta un servizio da sotto per spostare l’equilibrio.
Alla fine, Mattia Bellucci è questo: un ragazzo che ci crede. E forse è proprio questa la sua forza. Non il colpo magico o la vittoria contro Medvedev. Ma la convinzione che, sì, può essere come Sinner. E forse, un giorno, anche meglio.
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