Il nuovo album di Cesare Cremonini si chiama Alaska Baby. Esce in un venerdì mattina di fine novembre, come una rasoiata che affetta l’aria fredda, densa di goccioline invisibili e carica di nebbia. La gente annaspa sulle strade umidicce che portano al lavoro; attraversa incroci e rotonde che si assomigliano, percorre vie piatte che sono le stesse del giorno prima, scommette su un semaforo verde che le avvicini a fine giornata, punta sulla speranza di intravedere il weekend. Dai colli bolognesi hai la sensazione di poter strizzare quel panno grigio e madido che ricopre la Val Padana, che impregna di noia il risveglio di milioni di persone.
Sulla copertina di Alaska Baby i colori sono netti, lindi, stratificati e tersi quanto quelli di un’aurora boreale. Il rosso di una storia d’amore, l’azzurro di un viaggio oltreoceano, il bianco del Circolo Polare Artico, tonalità di viola e rosa che ammiccano a nuove scoperte. A prima vista, manca una spruzzata di quel giallo che riscalda l’ambiente, che smussa gli spigoli, che scioglie le distanze. Ma il giallo c’è eccome all’interno dell’album, spunta come il quarantasei di Valentino Rossi in rimonta, all’uscita della traccia numero 9, “Limoni”: “Lei si avvicina verso me, sembra una dea/Se rompe il ghiaccio, poi diventa una marea/Che strano accento che hai/Ma dai, davvero, tu se di, sei di, sei di/ Pensavo fossi una modella di Paris (Uh)/Una delle pubblicità, quelle dei film”.
“Valentino Rossi è il mio partner in crime”, ammette Cesare in un’intervista al Fatto Quotidiano. “Musica e sport sono molto simili, ma c’è una grande differenza. Nello sport il merito è oggettivo: ci sono i record, i numeri. Nella musica invece è tutto dannatamente soggettivo. Non hai mai la prova di essere oggettivamente bravo. Per questo a Vale invidio soprattutto una cosa. I record. Sono qualcosa che resterà. Magari potessi averli anche io: significherebbe avere la certezza di essere eterno, di lasciare qualcosa di definitivo come artista. Però è buffo, perché Valentino invidia me. Darebbe tutto per tornare a correre, e ogni volta mi dice ‘Ma che cazzo te ne frega dei record!? Tu potrai cantare fino a 100 anni, io invece ho dovuto smettere a 40. Ti rendi conto della fortuna che hai?’.
Ecco, nel giallo di “Limoni” c’è tanto del colore che distingue Valentino Rossi da tutti gli altri: una canzone dall’ironia tagliente, che non si prende troppo sul serio, un brano furbo, diretto, orecchiabile al primo ascolto, destinato probabilmente a scalare le classifiche se non a registrare nuovi record. Nel bel mezzo dell’opera più matura dell’artista bolognese, quella in cui più di tutte le altre si apprezzano le fatiche del travaglio che lo ha portato a superarsi (di nuovo), c’è comunque spazio per un pezzo che ha la leggerezza come unico scopo. In “Limoni” sembra di ascoltare il Cesare Cremonini sfrontato e guascone degli esordi nei Lunapop, di rivedere Valentino Rossi che a 36 anni, dopo aver battuto Marc Marquez, si rotola nell’erba di Assen improvvisando una di quelle scenette che da fresco maggiorenne lo avevano fatto entrare nei salotti di mezzo mondo.
Te lo immagini Cesare che, da solo in una stanza, scrive e compone "Limoni" con la sola voglia di divertirsi, come se non potesse rinunciare alla componente ludica, nonostante sia chiamato a scavare nei suoi abissi per tirare fuori ancora qualcosa di originale, di interessante, di profondo. Per restare in alto, per riempire nuovamente gli stadi, i palazzetti, il rettilineo di Imola di folle che cantano con lui. Che poi è quello che ha fatto per anni Valentino Rossi, chiamato dopo aver vinto tutto a migliorarsi, a cambiare stile di guida, a superare sé stesso per restare al passo di Stoner, Lorenzo, Pedrosa, Marquez e di tutti gli altri rivali che lo hanno tirato per la giacchetta. Un sacrificio che non sarebbe stato possibile senza quella scintilla che Valentino chiama gusto, che si accende ogni volta in cui Rossi sale su una moto ed è in competizione. Si tratta di divertimento sano, primordiale, allo stato puro, così straripante che diventa contagioso. Resta invariato oggi che Valentino di anni ne ha quasi 46 e si “limita” a sfidare i ragazzini al Ranch, rimane costante nella passione di Cremonini, che ancora gode a chiudersi in studio per buttare giù qualche verso disimpegnato: “Se vuoi possiamo parlare/Lo sai, mi manca il mare/Qui non ci sono i limoni/Bologna è piena di, piena di, piena di/Piena di zanzare, anche se qui non c'è il mare/Hai voglia di stare fuori/Oppure hai voglia di, voglia di, voglia di”.
E allora Cesare, il tuo amico ha proprio ragione: “Ma che ca**o te ne frega dei record?”. Continua a trasmettere il tuo divertimento per la musica e la gente te ne sarà grata. Svegliarsi ogni giorno con il solo obiettivo di superare sé stessi non basta, serve altro. L’ha detto anche Gianmarco Tamberi che “saltare un’asticella non è poi così divertente”, che sfidare l’oggettività numerica per stabilire quanto siamo bravi è logorante, che la vita poi si riempie di rimpianti del tipo: “E se avessi pensato a divertirmi di più?”.
In un torbido venerdì mattina di fine novembre persone avvolte nelle proprie paturnie hanno acceso la radio e, al primo ascolto di “Limoni”, non hanno potuto fare a meno di sorridere. Si sono distratte per qualche secondo e infine, al di là di finestrini imbevuti di condensa, hanno intravisto il sole. Prima impallidito da alcune dissolvenze, poi sempre più chiaro nitido, diretto, sempre più giallo. Sono uscite dalla nebbia. Oggettivamente.