Il Mago Mancini è un docufilm diretto e prodotto da Jeffrey Zani, uscito nel 2016 e da poco disponibile su Amazon Prime Video. È il racconto, tra immagini e interviste, della vita di Guido Mancini, genio del motore a due tempi con cui tanti piloti sono arrivati al motomondiale. Mancini costruiva moto da GP, correva e faceva da maestro ai ragazzini quando ancora l’elettronica non esisteva. Nel documentario, assieme al 'Mago', a parlare sono in cinque: Loris Capirossi, Valentino Rossi, Andrea Dovizioso, Franco Morbidelli e Romano Fenati. A sette anni dalle riprese, a colpire più di tutti è Franco Morbidelli. Per la strada che ha fatto da quel giorno, dal titolo in Moto2 nel 2017 al secondo posto in MotoGP nel 2020, e per la lucidità con cui racconta le corse. Non scopriamo oggi che Franco è un pilota atipico: è l’unico, per esempio, che con un certo distacco chiama lo smartphone ‘telefonino', oltre ad essere solo lui (in MotoGP) a mandare messaggi politici con le grafiche sul casco. Tuttavia è anche l’unico pilota ufficiale a cominciare il 2023 con lo spettro delle ultime volte in termini di lotta al mondiale: la moto non va, il compagno di squadra è per tutti un fenomeno e pare che ad Iwata stiano già pensando ad altri nomi per la sua moto. Eppure il talento non si può dimenticare e in MotoGP non si arriva per caso. Ecco quindi che per Franco, forse, è il momento giusto per guardare indietro e ricordare a sé stesso le idee dei vent’anni, quando era tutto più facile. Anche se per lui, lo abbiamo raccontato qui, di facile non c’è mai stato davvero niente.
Il Morbidelli che parla con il Mago Mancini, seduto con lui su di un divano della VR46, è un ragazzino di ventun'anni che sa già tutto della vita da pilota: “Nella carriera di un pilota le persone intorno sono importantissime”, racconta alle telecamere. “Perché ci sono momenti brutti, momenti belli e momenti bellissimi. Secondo me bisogna sempre riuscire a mantenere una linea. Non bisogna buttarsi troppo giù quando le cose vanno male, ma nemmeno esaltarsi quando vanno bene perché si rischia di perdere un po’ l’equilibrio. Le persone che hai a fianco ti aiutano a tenerti in carreggiata, perché da solo sarebbe impossibile. Una persona non è mai isolata, un pilota non è mai da solo. È da solo soltanto nel momento finale, quando è in pista. Quando è fuori c’è tutto un intorno che lo aiuta a diventare quello che è”.
Ecco, questi messaggi li ha regalati a noi ma servono anche a lui, soprattutto adesso che è tutto più complicato perché già visto, già vissuto. In MotoGP la velocità dei mezzi meccanici si riflette su chi li guida e sull’ambiente, che Marco Simoncelli diceva essere 'consumista con le persone'. Invece a Franco serve tornare a quella freschezza lì, ricordarsi della strada che ha fatto per esserci, cosa che nel documentario si percepisce bene tra le sue parole e le immagini registrate su qualche videocassetta del tempo: “Uno parte dalle minimoto ma quelle sono un gioco, anche se ti arricchisce molto non è un vero e proprio lavoro. Quando si comincia - parlo per me - non è detto che ti piaccia subito la moto grande, perché è un’altra cosa. Non è detto che andrai forte. Devi anche scoprire e capire se ti piace veramente questo sport. A me è piaciuto molto. E da lì si comincia la salita, la prima volta che provi la moto cominci a fare mille pensieri, capisci che è l’inizio del tuo cammino verso le gare ad alto livello”.
Tra i piaceri della vita che ci saranno sempre negati c'è quello di dare consigli al nostro io del passato, consigli che il più delle volte sarebbero di non preoccuparsi troppo, di godersela, di prendere il buono: cose così, semplici e vere. Ogni tanto però, con un po' di fortuna, si può fare anche il contrario: ricordare a noi stessi le idee che avevamo dieci anni fa. Quelle di Franco Morbidelli, per lui, sono perfette.