C’è un filo nero che attraversa Bergamo, una linea sottile che collega talenti, leader, idoli. Tutti finiti allo stesso modo: male. Non per calo di rendimento, non per cessioni fisiologiche o fine ciclo, ma con strappi, accuse, promesse disattese. Ultimo in ordine di tempo: Ademola Lookman. Il caso dell’esterno nigeriano è esploso. A innescarla, un’offerta dell’Inter da 42 milioni più 3 di bonus per acquistarlo. A farla detonare, la risposta della dirigenza dell’Atalanta: “Ne vogliamo almeno 50. Quindi, per ora, no”. Fino a qui, normale dialettica di mercato. Ma Lookman, dopo che ha ritenuto che la Dea avesse violato gli accordi presi, ha scelto di eliminare ogni riferimento all’Atalanta dai suoi social, ha messo un’immagine completamente nera come profilo e poi ha pubblicato un messaggio con toni da addio. “In questi tre anni all’Atalanta ho dato tutto. Non solo come giocatore, ma come persona. Sono venuto qui per aiutare questo club speciale a crescere e abbiamo creato ricordi che resteranno per sempre. L’Atalanta, e soprattutto i suoi tifosi, sono diventati parte di me. Ho sempre cercato di ripagare questo amore, anche quando dietro le quinte le cose non erano così semplici”. E poi la stoccata: “Tuttavia, con la società abbiamo un accordo che di fronte alla proposta giusta mi avrebbero permesso di spostarmi. E nonostante l’abbia ricevuta, la società ha bloccato l’opportunità di farmi partire”.

Ma la parte più dura arriva dopo: “Come risultato di molti mesi di promesse non mantenute e per come penso di aver ricevuto un trattamento brutto non solo come giocatore, ma come persona, penso purtroppo di non avere altra scelta se non dire quello che penso: quando è troppo, è troppo. Posso confermare di aver chiesto la cessione”. Parole che richiamano da vicino un altro divorzio: quello con il Papu Gomez. L’ex capitano, leader tecnico e simbolo della rinascita atalantina sotto la guida di Gasperini, era stato scaricato dopo una rottura insanabile con l’allenatore. Anche lì, tutto era cominciato in una partita di Champions. Contro il Midtjylland, Gasperini gli aveva chiesto di cambiare posizione: “Mancavano dieci minuti alla fine del primo tempo e l’allenatore mi ha chiesto di spostarmi a destra, mentre io stavo facendo molto bene a sinistra. Ho detto di no”. La reazione? Gomez ha raccontato al quotidiano argentino La Nacion che l’allenatore “ha oltrepassato i limiti ed ha cercato di aggredirmi fisicamente”. A quel punto, l’argentino aveva chiesto un incontro con il presidente Percassi per tentare una mediazione: “Ho capito di aver sbagliato, che da capitano non mi ero comportato bene e che ero stato un cattivo esempio disobbedendo all’allenatore, ma gli ho anche detto che volevo le scuse di Gasperini”. Scuse che non sono mai arrivate mai. E da lì il gelo.

“Ho detto al presidente che non volevo più lavorare con Gasperini all’Atalanta. Lui mi ha risposto che non mi avrebbe lasciato andare. E quindi è iniziato un braccio di ferro che ho pagato: sono finito fuori rosa”. Due casi diversi, ma con un finale simile. In entrambi i casi, la società si è schierata con l’allenatore, ha lasciato i calciatori davanti al muro in una sorta di costrizione insensata che sappiamo benissimo non giovare né al calciatore né alla maglia che continuerebbe a vestire. Quello che è lecito chiedersi è come sia possibile da un punto di vista logico, e se vogliamo anche economico, trattenere un giocatore contro la propria volontà: il rendimento in campo peggiorerebbe, all’interno dello spogliatoio non si respirerebbe un clima sano, il cartellino si svaluterebbe. In entrambi i casi, i campioni sono stati trattati prima come risorse centrali, poi come elementi scomodi. Prima coccolati, poi isolati. E ogni volta la rottura è esplosa quando si è parlato di promesse. La storia di Lookman è appena cominciata, quella di Gomez è finita da un bel po’, ma lo schema si ripete. Con le stesse dinamiche, lo stesso silenzio, la stessa rigidità nelle trattative e nella gestione degli uomini, sintomatica quasi di una mentalità provinciale. E il sospetto, sempre più insistente, è che a Bergamo vada bene così: valorizzare, spremere, rivendere, ma solo nel momento in cui a deciderlo è il club. Non è un caso che negli ultimi anni l’Atalanta abbia sempre scelto di non trattenere le proprie risorse nei momenti chiave. Ma con Lookman la faccenda è ancora aperta. L’Inter lo aspetta, il giocatore vuole andare. L’Atalanta ha detto no. L’impressione è che, quando si parla di campioni, alla Dea finisca troppo spesso “a schifio”.