Ci è mancato un po' di coraggio, di culo, di Lautaro e di Barella, ma poco conta; poco conta perché tra non vincere e vincere di mezzo non c'è la sconfitta ma qualcosa di meno definitivo, più sottile, intangibile e indefinibile. Chissà cosa è, un filo di erba, un tiro di vento, una palla che passa, un tallone o una mano che invece una palla la fermano e la fanno schizzare via, lontano. E soprattutto c'è il tempo.
Facile, ora, parlare di Lukaku. Lukaku che sia a Istanbul sia a Colonia (contro il Siviglia, finale di Europa League nel 2020) si mette tra l'Inter e il gol, Lukaku che di testa la tira addosso a Ederson. La verità è che con Lukaku l'Inter è stata più pericolosa, che il City con Lukaku in campo si è dovuto abbassare di venti metri. Poi ha vinto, ha fatto gol con Rodri, ok, ma il City è arrivato alla vittoria della Champions dopo vari tentativi falliti. Nello sport il fallimento non esiste, lo ha detto proprio Guardiola in una delle conferenze stampa prima della partita. Ed è questo l'insegnamento che i neroazzurri si devono portare a Milano.
La goleada annunciata dai gufi non c'è stata, c'è stata una partita perfetta, con l'obiettivo di concedere a De Bruyne & Co. poche verticalità e infatti proprio nelle poche concesse l'Inter ha ballato e in una di queste ha preso gol. L'Inter se ne va via da Istanbul con la consapevolezza che è molto più forte di quello che credeva di essere. Troppe volte è stata messa in dubbio, l'Inter tutta, società allenatore squadra singoli. Ma anche qui i numeri i trofei le finali sono delle sentenze: da tanti anni ormai o vinciamo o arriviamo secondi. In Champions, in campionato, in Supercoppa, in Coppa Italia, in Europa League. Vuol dire che nonostante le critiche, i momenti no, il vittimismo tipico dell'interismo siamo solidi, competitivi, forti. Il Milan ha vinto uno scudetto e il suo ciclo è durato due mesi. La Juve boh, scomparsa. Il Napoli vedremo. Noi siamo sempre davanti, in tante competizioni. Da anni. Questa stagione per esempio, ok la delusione Champions, ma in bacheca di coppe ne abbiamo aggiunte due.
Partite come questa, ripeto, ti devono portare la consapevolezza di essere più forte di ciò che credi di essere. Si chiama mentalità. Questa consapevolezza ci è mancata contro il City, la tensione ci ha sporcato la lucidità dell'ultimo passaggio e dell'ultimo tiro. L'Inter da Istanbul non deve ripartire. Deve continuare. Crescere. Ripeto anche questo: il City ha vinto la Champions dopo 13 anni che ci provava, dopo aver perso un'altra finale contro il Chelsea. Segno che le grandi conquiste non arrivano così. Il tempo non lo fotti. A questo devono pensare ì neroazzurri. E a difendere, preservare Lukaku. Verrà messo in croce per gli errori. E poi deve pensare che ha (ri)unito un popolo. Figli, fratelli, amici, parenti, tutti insieme a credere nell'impresa, ognuno a modo suo. A festeggiare in piazza nonostante l'amarezza. Un'onda commovente. Ora dobbiamo fare nostre le parole dell'artefice della vittoria del Man City, Pep Guardiola, un uomo saggio, un grande maestro, il più grande allenatore del calcio contemporaneo, che aveva detto: "Nel caso perdessimo saremo comunque la seconda migliore squadra d'Europa e dovremo ripartire e fare di tutto per tornare a giocarsi un'altra finale di Champions nel più breve tempo possibile". Ecco proprio così. Lui ha vinto. Noi impariamo.