Marco Bezzecchi è appena uscito dallo studio mobile in cui vanno i piloti del podio subito dopo la festa e il rito del Prosecco stappato. Lì dentro, a parlare uno a uno con tutti i televisivi, c’è stato per diverse decine di minuti, ma è solo l’inizio, perché c’è la conferenza stampa a seguire. E è proprio sulla scala in ferro che porta alla sala stampa che lo incrociamo proprio mentre accade qualcosa che dice tutto, ma tutto davvero, di questo ragazzo così dannatamente fuori le righe da risultare perfettamente dentro altre righe. Ha la faccia felice, ma stravolta, cammina scalzo perché vai a capire dove ha lasciato gli stivali, tiene l’inseparabile gamba di Aldo, Giovanni e Giacomo (che lo ha accompagnato per tutto il week end) in mano e negli occhi gli si vede una vena di “ok, ma che due palle!” Perché se c’è una seccatura per un pilota che vuole fare festa, è tutta la trafila che c’è da seguire prima di essere libero.Finalmente libero.

Se ne guarda benissimo dal dirlo, anzi si ferma per una foto con chiunque, per due parole, si gira ancora a salutare la gente che si era accalcata dietro le transenne, ma poi quegli stessi occhi gli vanno sulla destra. Esattamente dove, più giù e poco più in là, c’è il retro del box di Aprilia. Si immobilizza, mette le mani sulla balaustra, e poi se ne esce, urlando, con un “oh, ci vediamo tra un’ora. Un’oretta mi ci vuole”. E’ lì che vorrebbe stare, è quello il posto per cui si sente più adatto. Attenzione, non è essere snob. Non è un non voler onorare un impegno. E’, piuttosto, paura che tutta la voglia di fare festa che ha in mezzo a quelli che ringrazia ogni volta possa, nel frattempo, diventare meno forte in tutti i suoi. Che mentre aspettano, magari, consumano senza volerlo la festa stessa. Sembra una minaccia quel “ci vediamo tra un’ora” e c’è tutto davvero di un ragazzo che a essere qualcun altro non ci pensa neanche un po’. Costi quel che costi. Significhi quel che significhi. Come quando, appena pochi minuti dopo in sala stampa, un Marc Marquez quasi spazientito (ma comunque ironico) gli fa notare che non stava fermo un attimo, tra la gamba di legno tenuta in mano passata qua e là, lo sgabello che scricchiolava e duemila movimenti al secondo. Il Bez lo guarda e poi, con l’aria di un bambino che chiede scusa e facendolo scoppiare a ridere, gli fa “Eh, oh!”, facendo il paio con quando, appena pochissimi secondi prima, aveva giustificato un passaggio davanti alle telecamere di un giornalista dicendo: “siamo italiani, scioltezza”.
Quel “eh, oh”, diventa quindi un “eh, oh sono Marco”. Un ragazzo e un pilota che anche nel più serio dei luoghi, la sala stampa, ci sta così, sembrando in preda a una qualche frenesia, facendo scricchiolare tutto mentre beve, muove di qua e di là una gamba di legno e alterna risposte serie a pataccate. No, non si annuncia con orpelli come uno che è appena diventato il nuovo re di Misano: si svela, piuttosto, nella semplicità, nella misura delle parole, nella coerenza di chi resta aderente alla propria natura. Ritrovandosi, senza saperlo, a emanare una presenza che non impone neanche quando “minaccia” di non fare festa vera fino al suo arrivo. Sì, Marco Bezzecchi invita. Non occupa spazio, lo libera. Mettendo la luce sulla trasparenza che è sua e che è contestualmente pregio e difetto, piuttosto che sul coraggio che invece mantiene silenzioso. Accetta i propri limiti. Coltivano la verità delle cose piccole. E si ritrova pure a trasformare imprese sportive, sempre senza saperlo, in atti di bellezza.

Come quando, sempre in sala stampa, qualcuno, magari cercando la solita polemica, gli ha chiesto con chi vorrebbe fare lo stesso viaggio di Tre uomini e una gamba e lui, senza fare una piega, dice che no, non lo farebbe con i due che ha vicini: Marc e Alex Marquez. “Non certo perché ho qualcosa contro di loro, anzi – precisa – ma perché sceglierei comunque qualcuno che frequento di più, magari due dell’Academy”. Ecco: quella radice della genuinità che rende grandi senza appesantire è diventata, in questo fine settimana, il fiore meraviglioso e acclamato di una Misano che sembra essere tornata quella di una volta, quando tutto era giallo ovunque. “Io non voglio esagerare o compiacermi – ha detto – ma mi sono sentito un po’ l’eroe di casa in questo week end che considero il più bello di tutta la mia carriera anche se oggi non ho vinto. E’ stata una novità per me e mi ha fatto veramente effetto. Un bellissimo effetto, anche se non è stato facile da gestire”. Non si tratta di autocompiacersi, ma quasi più di saper ammettere con semplicità assoluta pure l’umana debolezza di uno che si ritrova re, o rockstar, ma non cerca corona e neanche applausi. Ma anzi semina chiarezza, ascolta e restituisce dignità di chi non ha bisogno di rumore, ma gli riesce naturale di farne e provocarne. Solo che è rumore che non da fastidio mai, per il garbo che ha. O perché, al limite, fa pure un po’ ridere per quanto è spiazzante: “Non sono ancora al livello di Marc Marquez o di Pecco Bagnaia come tifosi, ma quelli che ho mi danno lo stesso un gran gusto”.
“Qui – ha poi raccontato ai giornalisti italiani dopo conferenza stampa – ho cercato di autoconvincermi che fossi da un’altra parte perché quando corri a casa tua ci vuole che fingi che si tratti di una gara come le altre, magari devi provare a essere anche un po’ testa di ca*zo”. Emozioni e sentimenti messi ovunque, pure con quel linguaggio lì dove la parolaccia scappa sempre. “È difficile spiegare cosa si prova – aggiunge - Dire che è una figata sarebbe riduttivo. Mi sono emozionato e non è facile che io lo faccia vedere. Tendo a nascondere certe emozioni, soprattutto nei momenti di fragilità, ma vedere tutta quella gente che urlava il mio nome, le bandiere, le maglie... è stato impagabile. Una delle emozioni più belle di sempre”. L’emozione che viene prima dell’analisi della performance. Della celebrazione del risultato. In pista, la lotta con le Ducati è stata tosta. “Nel T3 ero abbastanza veloce – dice ancora - anche se la moto si muoveva parecchio. Nei primi due settori invece loro erano un po’ più a posto. Mi sembra che con il calo della gomma riescano a gestire meglio. Però non c’è male. Se sono riuscito a battagliare con loro, vuol dire che il lavoro è stato buono. Ora sono a otto punti dal terzo posto nel mondiale, ma non ci penso, onestamente. Anche se ho visto il foglio che mi hanno passato... (ride, ndr). Mancano sei gare e può succedere di tutto. Bisogna pensare solo a noi stessi e lavorare. È un bel momento, ma basta poco per cadere giù”.
Profilo basso e il solito verbo che suona male per tutti, ma porta ovunque chiunque: lavorare. “Non dobbiamo mollare – dice ancora - Non servono paragoni o confronti, dobbiamo sbattercene e lavorare su di noi. Non basterà mai. Stiamo crescendo. È vero anche che però in gara, rispetto alle prove, soffriamo leggermente di più e questo ci deve servire per lavorare e migliorarci, non basta mai purtroppo. Ma sono contento, è stata una gara fantastica: ho fatto 27 giri al limite, rischiando anche di cadere, ma mi sono sentito bene con la moto e mi sono pure divertito”. Poi s’è emozionato. Poi ci ha emozionati. Mentre in quel box tutto nero l’hanno aspettato per ricominciare a emozionarsi e emozionare ancora, dopo la doverosa festa.
