Che arrivi in pista o meno, la narrazione della MotoGP è monopolizzata da Marc Marquez, il che non è poi così strano strano se consideriamo il suo approccio alle corse. Il GP del Portogallo non ha fatto eccezioni, anche se più che per i risultati in pista (pole, podio nella sprint, passo gara rispetto ai test) per il clamoroso incidente che ha coinvolto Jorge Martín e Miguel Oliveira al terzo giro nella gara della domenica.
La vicenda ha scatenato polemiche in ogni direzione, a partire dai tifosi portoghesi che l’hanno fischiato come non accadeva dal 2015. C’è stata poi una querelle con la Federazione, che per un vizio di forma - la FIM ha comminato una sanzione consistente in due long lap penalty in Argentina, dove però Marquez non correrà - si è assicurata l’ennesima brutta figura nei confronti dello sport e degli appassionati: quando hanno ritrattato le parole scelte per infliggere la penalità, scrivendo “al prossimo GP” al posto di “GP d’Argentina”, Honda si è opposta e ora (giustamente) ci ci sono buone probabilità che Marquez ripartirà ad Austin senza sanzioni.
A questo si è aggiunta una larga, larghissima polemica sulla dinamica dell’incidente, da chi sostiene che Marc abbia perso forza nel polso - ma sembra improbabile viste le prestazioni nel resto del weekend e durante i test - a chi, addirittura, consiglia un test anti-doping allo spagnolo. In un mondo fatto di cose complicatissime, precise ed esatte come lo è quello delle corse a volte diventa difficile accettare verità semplici, ma nel caso di Marc Marquez è proprio lì che bisognerebbe andare a cercare. Per capire l’incidente di Portimão prima ancora che accadesse, per esempio, si può ascoltare una lunga intervista di Fabio Caressa a Guido Meda, che “Al buio e tutto d’intuito” racconta, sul canale YouTube dell’amico prima dell’inizio del campionato, il temperamento del Marquez pilota.
Meda parla di ‘banalità’, ma ora che le moto hanno cominciato a correre sul serio il discorso non è così scontato: “A parte i tanti rivali che hanno cercato di mettersi sul suo cammino, oltre a Valentino e tutte le polemiche, ne ha uno un po’ più spesso degli altri che è sé stesso. Lui ha la tendenza ad andare un po’ oltre il limite, ma non delle proprie capacità. Del logico, del razionale. Ha l’approccio del matto, il matto duro. È il primo pilota della storia che io conosca ad utilizzare la caduta come assaggio del limite. Lui imposta la curva, fa perdere aderenza alla moto e va così forte da cadere. Poi appoggia il gomito e il ginocchio, la raddrizza e lì memorizza a che velocità stava e che sensazioni aveva nelle mani. A quel punto ha capito dov’è il limite. Ma tu ti butti per terra per capire dov’è il limite? È una cosa un po’ strana”.
Questo è Marc Marquez, è sempre stato così e non serviva il GP del Portogallo per capire il suo approccio alle competizioni. Certo è che ogni tanto è facile scordarselo. Semmai dopo il Portogallo abbiamo una risposta alla domanda che Meda si pone di seguito: “Resta il problema, e non va dimenticato, che se casca per terra e sbatte la testa ha la tendenza ad avere gli occhi che vanno fuori asse, quindi a vedere doppio. Sarà frenato da questi timori, o magari da una moto che come l’anno scorso non funzionava?”. Ecco, la risposta chiaramente è no.