Simone Inzaghi e l’Inter si sono separati. E’ avvenuto in un caldo pomeriggio del 3 giugno, esattamente a quattro anni distanza dal suo annuncio in nerazzurro dopo il buon percorso con la Lazio. La notizia era nell’aria, si respirava a Milano e nell’ambiente del calcio. La stagione a tratti esaltante per il sogno triplete e in parallelo viscida per le polemiche che hanno accompagnato il secondo posto in campionato, è precipitata dopo le 5 pappine prese in finale di Champions League contro il PSG. Una giornata orribile per il mondo inter che sarà ricordata come la batosta peggiore di sempre in una competizione internazionale.

Troppo dura da digerire questa delusione, oppure c’era già qualcosa sotto? Le letture di questo finale alla Stanley Kubrik in cui si mostra Simone Inzaghi come David Bowman di 2001 Odissea nello Spazio, isolato e senza una reale spiegazione del suo destino, sono molte. Perché è la modalità dell’addio che spinge a un necessario approfondimento.
Che sarà Arabia Saudita, Al Hilal, la squadra più ricca e vincente di tutte nel calcio degli sceicchi, è ormai certo. L’esordio sarà il 18 giugno al Mondiale per club contro il Real Madrid. Ma ci sono passaggi da chiarire: innanzitutto cosa è successo nella finale di Monaco? I volti dei calciatori dell’Inter, inquadrati dalle telecamere prima della partita, parlavano. Si intuiva che qualcosa si era rotto. C’era pressione nell’aria e forse un senso di smarrimento di un gruppo che per quattro anni aveva provato a restare nella storia nerazzurra e stava perdendo la sua guida.
Poi i tempi: il 12 maggio Fabregas rifiutava il Bayern Leverkusen. La notizia era uscita ed era entrata nello spogliatoio dell’Inter. Qualcosa si era rotto. Quindici giorni da incubo in cui Simone Inzaghi e i suoi giocatori perdevano tutto. Prima il campionato all’ultimo minuto contro la Lazio e quindi il crollo contro il Paris Saint Germain.
C’è poi da domandarsi perché Simone Inzaghi abbia rifiutato la proposta di rinnovo che Marotta e tutti i vertici della società gli hanno fatto trovare sulla scrivania negli uffici di via della Liberazione. Vero che 25 milioni all’anno sono una quantità di soldi impossibile da lasciarsi scappare, ma un tecnico ancora giovane e ambizioso sa che spostarsi nel calcio arabo significa uscire dalla scena che conta. Pare che il Demone di Piacenza abbia chiesto rassicurazioni sul mercato, perché Luis Henrique e Sucic, secondo lui, non basterebbero per competere ai massimi livelli. Sarebbe mancato il punto di incontro per proseguire. O forse era già tutto deciso?
C’è stata, per qualche ora, anche la suggestione Juve perché l’arrivo, ormai quasi certo, del preparatore Antonio Pintus in bianconero, l’uomo che aveva fatto le fortune di Simone Inzaghi alla Lazio e il primo anno in nerazzurro, accendeva la luce a traiettorie quasi impensabili. E invece erano solo voli pindarici di noi insider del calciomercato che sogniamo sempre il colpo grosso.
È finita così la storia d’amore (e odio) tra Simone Inzaghi e l’inter. Con l’allenatore pronto per almeno un paio di stagioni sabbatiche pagate a peso d’oro e la ferita della dannata finale di Monaco di Baviera in cui il PSG ha asfaltato tutto. Tattica estrema con la chiave della pressione Dembelé sui rilanci di Sommer per 90 minuti ma anche un’evidenza sofferenza mentale di un percorso giunto a fine ciclo.
I saluti sono stati da buoni amici, i classici ringraziamenti tra chi dice di volersi bene ma spera di non rivedersi mai più. Un marchio, quello di Simone Inzaghi nella storia dell’Inter, che qualcuno prova a considerare fallimentare, ma forse dimentica i numeri di un allenatore che ha lavorato in silenzio, anche quando nelle sessioni di mercato i giocatori non arrivavano e si “comprava” a parametro zero. D’altronde sei trofei, di cui uno scudetto, due Coppa Italia, tre Supercoppa di Serie A e in più due finali di Champions League raggiunte, in quattro stagioni, non possono passare come niente.
Ci saranno nuove pagine da scrivere e Marotta ha pronto il nome pesante: davanti a tutti c’è Cesc Fabregas che alla guida del Como ha stregato il calcio italiano. Poi circolano i nomi di De Zerbi o di un clamoroso ritorno di Mourinho. Ma forse l’ultimo è solo un nome per stimolare l’algoritmo di internet. O forse una pillola per curare l’anima dei tifosi.
