C’è un legame solido, ma pure pericoloso, che unisce Fernando Alonso, Rafa Nadal e Pau Gasol. Il pilota, il tennista, il cestita pazzi per Marc Marquez. No, non c’entra niente la Spagna e nemmeno il solito patriottismo da cartolina, così come non c’entra l’obbligo istituzionale di celebrare un connazionale di successo. È qualcosa di più carnale, una sorta di scimmia collettiva per Marc Marquez. Come una dipendenza antica: la fascinazione per chi vive sempre un passo oltre il bordo. Lo hanno fatto piangere, a Madrid, durante l’anteprima di “Volver”, il nuovo documentario realizzato da DAZN. Lo hanno ferito e protetto allo stesso tempo, come si fa con chi riconosci come uno dei tuoi e che, proprio per questo, rischia di distruggersi da solo.
E’ successo dentro la sala del Teatro Luchana, con Marquez lì che guardava lo schermo come chi sa già che sarà una mezza condanna a commuoversi. E quando sono arrivate le parole delle altre tre leggende spagnole, le lacrime sono uscite davvero. Non per debolezza, ma per riconoscimento. Perché certe ferite si illuminano solo quando qualcun altro le nomina dal pulpito di chi può capirne il dolore. Pau Gasol è stato il più chirurgico. “Più in alto sei o più in alto arrivi, più dura è la caduta – ha detto - E scendere da quelle altezze è molto più evidente. È più difficile tenere i piedi per terra e poi rialzarsi. Marc ha bisogno di un ambiente che lo protegga da se stesso”. Quasi un monito a Ducati, ma pure un esame di coscienza verso la propria storia. “Gli atleti – ha aggiunto - devono essere protetti da se stessi, in modo da non ritrovarsi con problemi più grandi in futuro”.
Rafa Nadal sembra invece sceglie il registro dell’intimità tra sopravvissuti. “Ha vinto tutto quello che doveva vincere e molto di più, e ha mantenuto la determinazione di sopportare la sofferenza per andare avanti – ha detto con la tessa calma di chi quasi quasi valuta di prendere Marc Marquez come esempio per provarci ancora – Quando sei uno sportivo a certi livelli, tutte le cose che devi fare generano stress quotidiano, disagio e spesso infelicità. Accettare la sfida è davvero un’impresa enorme. È ancora più preziosa quando non hai più nulla da realizzare. Alla fine, ci siamo abituati a vedere Marc vincere praticamente sempre. E poi sono passati alcuni anni senza vederlo lassù. Se non si ha un buon sistema di supporto, diventa davvero complicato, o direi quasi impossibile”.
E Fernando Alonso? Il più schivo, il più gelido, il più affilato dei tre. Quello che da sempre rifiuta la retorica della sofferenza. In “Volver”, invece, lascia cadere una frase che sembra scritta apposta per Marc, perché nessun pilota la comprende meglio di lui: “Quando sei molto giovane, hai poche paure”. È la prima metà della storia. La seconda, però, è quella che conta: quando arrivano le botte e con loro anche la paura. “Il primo Marc non era un pilota che andava sul sicuro o che cercava di trattenersi – dice Alonso - Cercava di vincere in qualsiasi situazione. Lo fa ancora, ma penso che adesso sia diverso e questo lo rende un campione ancora più grande”.
Insomma, tre idoli di un ragazzo che si ritrova a sentir parlare di se stesso come l’idolo dei suoi idoli. E che, inevitabilmente, si commuove. “Ognuno di loro – taglia corto il 93 - ha espresso ciò che ho provato in ogni momento. Quando lo vivi, e loro l’hanno fatto, capisci le parole”. Non è ammirazione: è riconoscimento. È vedere se stessi nell’altro. Ma è anche intuire, e sentirselo dire dai propri idoli, che il vero pericolo è sempre il futuro che arriva troppo in fretta e pretende un prezzo che nessuno sportivo è mai davvero disposto a pagare. Sì, l’hanno fatto piangere. Ma l’hanno anche avvisato.