Cristian Massa sarebbe il candidato perfetto da invitare al vostro prossimo TedX: ha quarant’anni, una laurea in legge e nulla che lasci intendere l’una o l’altra cosa, merito di un guardaroba da surfista e di un approccio alle cose sempre molto diretto. È un irregolare Cristian, te ne accorgi piuttosto in fretta. In breve, se la MotoGP ha cambiato il suo modo di raccontarsi avvicinandosi a fan con un approccio da Formula 1 lo si deve soprattutto a lui, che si è fatto dare l’ultimo iPhone in commercio dai piani alti della Gresini Racing e l’ha usato per abbattere la quarta parete: sempre provocatorio, spesso divertente, a volte sbruffone. Gli altri hanno seguito, così mentre i piloti stanno sempre più attenti ad aprire la bocca chi gestisce i social media delle squadre fa l’esatto contrario.
Le corse saranno anche una cosa seria, ma sono prima di tutto intrattenimento. E questo vale tanto per i piloti che guidano quanto per gli appassionati che guardano. Ecco, Cristian lo ha ben presente e si è incaricato di ricordarlo agli altri, perché lavorando nel paddock è facile scordarselo. Così lo fermiamo durante la presentazione 2023 della Gresini Racing, sono le tre del pomeriggio e lui deve ancora pranzare: “D’accordo, però mi prendete in un momento di debolezza”, dice ridendo mentre facciamo partire il registratore.
Cristian, quando hai cominciato con la MotoGP?
“Nel 2008, con la Dorna. Ho cominciato proprio dal basso, facevo il redattore per la versione italiana di MotoGP.com. Da lì sono passato a fare il giornalista, poi il content manager e ad un certo punto me ne sono andato: ero convinto di aver finito con le moto. Invece mi ha chiamato Fausto Gresini, andava via il loro press officer e mi hanno chiesto se mi interessava. Ho detto sì anche se inizialmente avrei preferito prendermi una pausa dopo aver viaggiato tanti anni per Dorna”.
Sei riuscito ad entrare in Dorna perché volevi lavorare con le moto?
“In realtà no, assolutamente. Avevo fatto un master in business e sport e avendo studiato legge la mia idea era di fare l’agente per i calciatori, o comunque gli sportivi. Poi però, facendo il master, ho capito che la comunicazione mi interessava e ho lasciato stare il mio percorso con la legge, così ho scritto a chiunque: società sportive, organizzatori di eventi, cose così… tra le mille mail che ho mandato mi ha risposto Dorna e mi ha cambiato la vita, non saprei dire se in bene o in male. Così dal 2008 sto a Barcellona, perché con il lavoro che faccio un buon aeroporto è fondamentale. Poi mi piace la città, sole e mare, cose così”.
Senti di aver dato la prima spinta sui social per rendere tutto più leggero e, paradossalmente, simile al tono che c’è in Formula 1?
“Mah, io penso sempre che copiamo di tutto dalla Formula 1 in termini di organizzazione, ma le cose davvero interessanti le lasciamo stare. Oltretutto il loro paddock è molto più istituzionale, eppure credo che ogni team abbia un dipartimento gigantesco per la comunicazione sui social. Io ho preferito fare un po’ lo scemo, forte anche di un’annata spettacolare in cui potevamo anche permettercelo. Magari non andrà così tutti gli anni, chi lo sa. Però ecco, io preferisco non fare niente per un mese piuttosto che postare foto vecchie, roba istituzionale o il wheelie wednesday. Preferisco altro, dai”.
Come descrivi il mestiere dell’addetto stampa?
“L’idea del press officer, per quanto possa sembrare antica, è che non sei tu la prima donna, non sei tu nella foto. Se ci capiti poi va bene, ma tu di regola sei lì a farla perché devi saper cogliere il momento e spesso non hai il fotografo a fianco. Vivi dietro le quinte, un back office. Magari si rischia di essere troppo protagonisti in un mondo in cui i protagonisti ci sono già, io credo si debba stare dietro le quinte e gestire altre situazioni. Da quel punto di vista per esempio il mio profilo personale è abbandonato: ho troppi pensieri per stare dietro anche alla mia roba”.
Com’è lavorare così a stretto contatto i piloti?
“Ognuno ha le sue particolarità, il pilota perfetto - come l’addetto stampa perfetto - non esiste. Tutto sta nel creare un rapporto di educazione, amicizia e rispetto degli spazi. Per i piloti ovviamente la priorità è andare forte, subito dopo c’è l’ora di fisioterapia che diventa fondamentale quando vai a 300 Km/h. Poi devi anche stare attento ai giornalisti: a loro qualcuno piace di più, qualcuno meno, ognuno ha i suoi riferimenti. Poi i piloti hanno i loro orari e bisogna saperli prendere, Diggia ad esempio lo conosco dal 2017 e ormai basta uno sguardo per capire se si è rotto le palle, con Alex Marquez vedremo. Avere Enea poi è stato un piacere perché mi faceva fare solo parc fermé, podi… Poteva fare un po’ quello che voleva. Comunque l’idea di base è quella di accendere una relazione col pilota, che sia fatta di rispetto ed educazione da entrambe le parti. Personalmente sono stato fortunato e ho sempre avuto buoni piloti, anche perché nelle categorie inferiori normalmente sono più tranquilli: magari qualche testa calda la trovi in MotoGP”.
Per esempio?
“Oggi non me ne viene in mente nessuno. Però penso a Biaggi, ai tempi, o a Melandri per esempio, che dal lato giornalistico per Dorna sapevano essere impegnativi. Immagino che gestirli in quel momento non fosse così facile. Erano altri caratteri, magari adesso sono super aggressivi in pista ma hanno capito meglio che il ruolo della televisione e degli sponsor è fondamentale e non ti puoi permettere di fare troppo il fenomeno in certe situazioni”.
A proposito, spesso si parla di piloti ‘politicamente corretti’: Come la vedi? pensi che andremo sempre di più verso un appiattimento generale?
“Intanto mi piacerebbe capire come verrà gestita la stagione con tutti gli eventi organizzati da Dorna. Per il resto molto dipende dal pilota, chiaramente in un team privato come il nostro è più facile esprimersi sia per il pilota che per chi segue la comunicazione. Nei team ufficiali puoi avere dei blocchi alla radice che non ti permettono dei fare dichiarazioni di un certo genere. Poi dipende sempre di che parli, è chiaro che se parli male della squadra… Però in generale penso che ci vorrebbe un’evoluzione su tutta la linea”.
Da dove partiresti?
“Dal fatto che i diritti televisivi sono, secondo me, un concetto un po’ relativo e forse antiquato. Oggi nel momento in cui entri nel paddock non puoi filmare né fare altro e diventa difficile. Noi ogni anno riceviamo un playbook in cui ci sono scritte cose tipo: ‘tre boomerang a settimana, tre Tik Tok, non riprendere l’azione, non riprendere il pilota in pista’… Il mio gioco alla fine è quello di studiare il playbook e capire dove ci sono vuoti normativi”.
Fai come gli ingegneri!
“Eh si. Per esempio io facevo delle dirette social prima dei turni di libere perché sul playbook c’era scritto ‘non durante l’azione in pista’. Però ecco, quando se ne sono accorti hanno tolto tutto. Se blocchi così tanto la comunicazione va finire che si riduce tutto a comunicati stampa - che secondo me non legge nessuno - e ti dai un po’ la zappa sui piedi, ormai è un concetto un po’ anni Novanta. Credo che la comunicazione dovrebbe essere solo social e forse, chissà, ci arriveremo. Capisco lo sponsor che vuole il comunicato, ma dal lato sportivo preferirei un’intervista video fatta col cellulare, sarebbe più diretta. Giù le barriere, secondo me. Devo portare il pilota fuori dal circuito per fargli un video? Ok, la gente finirà per organizzare dei pulmini per uscire dal paddock. La televisione e i social sono due prodotti così diversi che mi sembra inutile limitare in questo modo la comunicazione”.