Mario Renzi parla un italiano quasi perfetto, scandito da un accento francese che gli regala una cadenza rara. La prima volta che ci siamo conosciuti di persona, in un paddock di Formula 1 in giro per l'Europa, si è scusato: "Il mio italiano fa schifo" mi ha detto, e da quel giorno me lo ha ripetuto ogni volta che ci siamo visti e parlati, tra sale stampa, pit-lane e hospitality. Non è vero, il suo italiano non fa schifo, Mario è francese (anche se il nome, italianissimo, rivela le sue origini) e quell'autocritica subito esposta ha disegnato immediatamente intorno a lui, nell'immagine di chi è, il suo perfezionismo. Perché per fare quello che fa, il fotografo di Formula 1, essere pignoli e autocritici, è fondamentale. Non è una scelta, è una regola di sopravvivenza. Lui ne ha poche, ma le mette in chiaro: umiltà, stile personale, emozioni visibili, nessuna fretta. Serve tempo e dedizione per fare il fotografo in Formula 1 da 27 anni come fa Mario Renzi, e serve sapersi ritagliare il proprio spazio in un microcosmo piccolo e complesso, denso e adrenalinico. Per fare questa intervista ci siamo rincorsi durante tutto il fine settimana di gara in Bahrain, al via di questa stagione, sorridendoci dai lati opposti della sala stampa quando alla sera, cercando nel caos della competizione pochi minuti di tranquillità, scuotevamo la testa: "Non ora, proviamo domani". Alla fine ci siamo riusciti, seduti prima del via dell'ultimo giorno: Mario con la macchina fotografica appoggiata al tavolo, lo sguardo concentrato di chi non si perde un dettaglio. Ecco com'è andata.
Mario, mi racconti un po' come sei entrato nel paddock e come sei diventato un fotografo di Formula 1?
Nel 1997 ero già un fotografo, ma stavo lavorando come architetto e la fotografia per me era più che altro un grande hobby. Non ero particolarmente appassionato di Formula 1 ma uno dei miei amici più stretti, Soheil Ayari, correva in Formula 3, e aveva vinto a Macao quell'anno. Un giorno capitò che mi chiese semplicemente di andare in pista con lui per provare a scattargli qualche foto. E quello fu l'inizio. Pochi mesi dopo, una persona della FIA mi lasciò rimanere in pista anche domenica, nonostante io avessi gli ingressi solo fino al sabato perché le competizioni che seguivo io non si svolgevano la domenica. Lui mi disse che potevo restare, si fidò di me, vide la voglia che avevo, e fu in quell'occasione che scattai la mia prima fotografia di Formula 1.
Poi che cos'è successo?
Sono passate ben 27 stagioni da allora, da quella prima fotografia. Quando all'epoca provai a vendere le mie foto ad alcune riviste francesi me le rifiutarono, quindi all'inizio non fu semplice trovare il modo per entrare nel giro. Però devo dire che quella fu la mia fortuna, perché è proprio da lì che iniziò la mia vera storia come fotografo, nel senso che iniziai a sviluppare il mio stile personale, e iniziai a lavorare per una rivista giapponese che uscita quattro volte all'anno. Capii che dovevo maturare un senso artistico e ai giapponesi piacevano davvero le mie foto, il mio stile. Così ho iniziato a collaborare con loro, ed è durata per quattro anni, poi ho lavorato per tre anni con una rivista spagnola.
A un certo punto però hai smesso di lavorare direttamente per le riviste...
Dopo la fine della collaborazione con la rivista spagnola ho cercato comunque di restare all'interno del mondo della Formula 1, stavo cercando nuovi clienti e un modo alternativo per continuare a lavorare come facevo prima, sperando sempre di rimanere nel campo del motorsport. Poi il colpo di fortuna: alcune persone della Formula 1 mi contattarono perché avevano visto le mie foto della stagione precedente e volevano offrirmi un nuovo lavoro. In quel periodo, con Bernie Ecclestone, non avevano ancora un fotografo ufficiale di riferimento per la F1, di solito prendevano o acquistavano foto da diverse agenzie. Per me, quindi, fu l'inizio di una nuova avventura incredibile con la possibilità di avere più accessi alle gare, e allo stesso tempo la possibilità - molto rara - di raggiungere i piloti da vicino. Adesso sono 15 anni che mi occupo di questo, cercando di catturare immagini emozionanti e forti.
Hai detto "immagini emozionanti e forti", perché le tue foto sono uniche in questo settore...
Il modo in cui lavoro, perseguendo lo stesso obiettivo da molte stagioni ormai, credo che sia visibile. Il mio metodo punta su immagini di forte impatto estetico ed emotivo. Alla fine le foto che scatto durante i weekend di gara potrebbero essere utilizzate dagli organizzatori di tutto il mondo, dagli uffici marketing e design ufficiali della Formula Uno, quindi cerco sempre di dare il meglio e di farlo nel modo che conosco e per cui sono conosciuto.
Dopo 27 stagioni in giro per il mondo, quanto è "pesante" seguire il circus della Formula 1 per te?
Credo che la difficoltà sia soprattutto mentale, più che fisica. Penso che sia davvero difficile "rigenerarsi" dopo un Gran Premio e con "rigenerarsi" intendo dire che spesso riuscire a metabolizzare tutte le emozioni che proviamo in questo ambiente non è facile. Una gara è una vera botta di adrenalina per noi fotografi: anche noi dobbiamo in qualche modo sostenere il ritmo della gara. È uno show, dopotutto, e non possiamo permetterci di lasciare indietro qualcosa. Dobbiamo gestire lo stress, che a volte può essere positivo, ma altre volte si avvicina pericolosamente a un infarto. C'è un'intensità fuori dal comune, sei impegnato su più fronti e intorno a te succede si tutto. Devi costantemente fare scelte precise per ottenere lo scatto migliore. A livello emotivo è devastante, perché sei in un continuo stato di tensione, una corda di violino.
E a livello fisico?
Certo, anche fisicamente è impegnativo. Si viaggia moltissimo, quindi è fondamentale riuscire a dormire bene e viaggiare nelle condizioni migliori, nella maniera più comoda possibile. Non è un ritmo di vita normale, ma dobbiamo farci l'abitudine. Non abbiamo scelta, soprattutto quelli che come me seguono tutto il campionato, con 24 Gran Premi come quest'anno. Dobbiamo essere sempre in una condizione fisica ottimale. Con gli anni magari ti "stanchi" di più ma dall'altro lato acquisisci esperienza e impari a gestire la situazione al meglio, a conoscere i tuoi limiti.
È difficile per te, dopo molti anni, trovare l'ispirazione nel fotografare sempre gli stessi luoghi e, quasi sempre, gli stessi piloti?
No, io penso che sia stimolante: devi importi di trovare sempre posizioni diverse e modi diversi per catturare i piloti e le auto. Una difficoltà può essere invece quella di dover fotografare alcuni piloti perché non sono tutti fotogenini, è normale visto che fanno i piloti e non i modelli, ma a volte a livello fotografico questo ti può mettere in una condizione critica. Per come fotografo io poi c'è - ovviamente - la parte fisica ma c'è anche la parte emotiva e alcuni piloti possono anche vincere Gran Premi, essere in una condizione di grande gioia, ma non riescono comunque a trasmettere alcuna emozione. Quindi, quando scatto un ritratto, a volte è difficile catturare la sensazione di chi ha appena vinto.
Hai una fotografia preferita?
Ne ho qualcuna, poche in realtà a cui sono davvero legato. Una di quelle a cui tengo di più è quella della vittoria a Monza di Pierre Gasly, con lui seduto sul podio. Poter essere lì durante la celebrazione, in un periodo complesso come quello del Covid nel 2020, ed essere così vicino a lui sul podio alla fine della gara... non è più soltanto l'immagine, c'è il suono, c'è l'atmosfera. Ricordo che Pierre non riusciva a staccarsi dal podio perché non riusciva a capacitarsi di aver vinto. Un'altra delle mia foto preferite è quella di Lewis Hamilton in Messico, di fronte alla folla con tutta la gente che lo guarda dal basso, mentre lui è sulla pedana che porta la macchina sul podio, c'è tutto quello che mi piace in quella fotografia ed è quella che io chiamo "un'immagine perfetta".
Tu parli sempre di emozioni legate al tuo lavoro, l'emozione più forte che hai provato in carriera in quale momento è arrivata?
Con Felipe Massa, senz'altro. Quando Massa ha perso il campionato nel 2008 in Brasile, e piangeva, mentre sotto Lewis Hamilton festeggiava la vittoria del suo primo titolo mondiale. Due emozioni fortissime, contemporaneamente, e così opposte: la gioia di uno e la disperazione dell'altro. Io stavo fotografando l'ultimo giro di Massa e non mi dimenticherò mai quel giorno.
Il mondo dei social, e la richiesta di immagini sempre più "in tempo reale", ha modificato molto il tuo lavoro?
Fortunatamente per quello che faccio io non mi devo preoccupare di inviare rapidamente le foto, come invece avviene per chi lavora con i social e che quindi deve avere dei tempi rapidissimi. Di solito devo selezionare, modificare e inviare le immagini entro due o tre giorni. Dal punto di vista lavorativo non ci ho molto a che fare quindi non posso dire che il mio lavoro sia cambiato, mentre dal punto di vista personale ho un profilo Instagram che uso per postare e condividere i miei lavori, una vetrina e una finestra che mi permette di entrare in contatto con le persone. È sicuramente gratificante e stimolante conoscere persone così, poi incontrarle dal vivo magari e stringere rapporti, come è successo tra noi due per esempio, ma dal punto di vista lavorativo resto fedele a ciò che faccio: la fotografia usa e getta non fa per me.
Ti è mai stato chiesto di cambiare il tuo stile?
La fotografia per me è un'interpretazione della realtà, quindi puoi anche scattare la stessa foto di un altro fotografo ma poi puoi anche ottenere risultati totalmente diversi grazie all'editing, allo studio e al lavoro che c'è dietro. Spero di riuscire sempre a gestire questo aspetto e a consegnare immagini con il mio stile, per me è la priorità assoluta e credo emerga da quello che faccio.
Ti piacerebbe insegnare fotografia un giorno?
Ci sto pensando. Forse la mia può sembrare una risposta strana, però mi piacerebbe insegnare il modo in cui è possibile catturare il mondo circostante da due prospettive diverse, specialmente a parte a persone con disabilità. La fotografia, in fondo, è un ottimo modo per stare in contatto con la realtà che ci circonda. È da un po' di mesi che ci penso per la verità e troverò un modo, magari non proprio per insegnare, ma comunque per condividere la mia esperienza. In effetti, dopo 27 anni a fare questo lavoro, credo di avere molto da raccontare.
Avrai tantissimi ragazzi che ti chiedono consigli sul tuo lavoro, che cosa rispondi a chi ti dice che lavorare in F1 è il suo sogno?
Sì, ricevo tantissimi messaggi su Instagram da ragazzi che sognando di diventare fotografi di Formula 1. Capisco perfettamente il loro entusiasmo ma prima di tutto, gli dico che è importante sapere che la Formula 1 non è la vita reale: si trascorre moltissimo tempo lontano dalla famiglia e questo è un aspetto da prendere seriamente in considerazione prima di intraprendere questa strada. Poi ovviamente per me il consiglio più importante è quello di allenarsi alla fotografia, magari partendo dal karting, che è un ambiente sicuramente più accessibile. Se si riesce a sviluppare un proprio stile, a raccontare qualcosa di unico attraverso le loro immagini, soprattutto sfruttando i social media, allora si può pensare davvero di farlo diventare un lavoro. Oggi può sembrare più difficile farcela, sicuramente c'è più concorrenza, ma è anche vero che con i social media adesso è più facile mettere in evidenza il proprio lavoro, rispetto al passato. Questo significa che un ragazzo giovane, magari dall'altra parte del mondo, può far vedere le sue foto a potenziali clienti, che potrebbero essere colpiti dal suo talento.
Ma qual è la cosa più importante da avere, soprattutto all'inizio?
L'umiltà. Essere umili è fondamentale, per imparare e crescere come professionisti in generale e come fotografi in particolare. In secondo luogo è fondamentale sviluppare una propria cifra stilistica: copiare le foto che hai visto su Instagram non ha senso, non serve. Umiltà e unicità, queste per me sono le cose davvero fondamentali.