Lionel Messi e il Barcelona si separano. Una notizia che per chi vive di pallone (come lo chiama Francesco Repice) significa soltanto una cosa. Il calcio delle bandiera è ufficialmente finito. Ventuno anni in blaugrana, dieci campionati vinti, sette coppe e otto supercoppe di Spagna, quattro Champions, miglior marcatore del club (672 reti), recordman di presenze (778), sei palloni d’oro. Vabbè, non dilunghiamoci troppo, stiamo parlando di Leo Messi, il calciatore più forte della storia. C’è però più di una cosa che non quadra.
L’addio tra il calciatore e il Barcelona è pieno di punti interrogativi. Fino a un mese fa l’accordo per il tanto agognato rinnovo era stato trovato, ma anche a livello di comunicazione i saluti all’eterno diez sono avvenuti in maniera fredda, con una carrellata di gol un “Gracias, Leo!” e un altro grazie "per aver indossato la nostra maglia con orgoglio". Un po’ poco per uno come lui. Il presidente Joan Laporta ha poi voluto chiarire la dinamica delle trattative con l’argentino attraverso una conferenza stampa. “Non voglio dare false speranze, non ci sono margini per un accordo. Gratitudine eterna a Leo” lo ha detto subito, quasi a togliersi un peso. Il mistero sulla vicenda però poi si è infittito quando lo stesso ha iniziato a scaricare le colpe su chiunque… tranne che sull’attuale dirigenza. “Questa situazione è dovuta alla situazione debitoria del club delle precedenti gestioni”, “Pensavamo che i limiti salariali della Liga fossero stati più flessibili”, “Leo è dispiaciuto, voleva restare”. Ecco quest’ultima frase pone davanti a un bivio. Di chi è la colpa per uno degli addii più rumorosi della storia del calcio?
Perché al Barcelona sapevano del limite del monte ingaggi passato da 656,43 milioni di euro l’anno a 347 milioni. In qualche maniera la questione andava risolta. Per tenere uno come Leo Messi o si ridiscutevano i termini di alcuni calciatori (vendendoli anche per fare spazio) oppure la campagna faraonica che è stata fatta in questo momento poteva essere un attimino ridimensionata. Eppure l’accordo era stato trovato. La “Pulga” si sarebbe anche “accontentato” di 35 milioni di euro l’anno per 5 anni. Praticamente uno stipendio dimezzato. Però c’è da dire una cosa. Se non si vuole andare via una soluzione si trova, vent’anni in un club non si cancellano per un motivo economico. Vent’anni di trofei, di una storia, di abbracci e compagni. Ecco, Lionel Messi poteva sacrificarsi ulteriormente. Tanto di fame non sarebbe morto. E invece no.
Ciao Barcelona, ciao mia (quasi o forse mai) adorata Spagna me ne vado in… Francia. Guarda caso l’unica società a permettersi il “Sacro Graal del Futbol” è proprio il PSG. E se uno come lui decide di andare dagli sceicchi, beh, significa una cosa soltanto. Il calcio non è più delle bandiere e dei tifosi, non è più dei Costacurta e dei Del Piero che firmano il contratto in bianco. Il cash si è impadronito del gioco più bello del mondo. E allora preferiamo cento volte chi è sincero e va dove è più pagato, come Donnarumma. Che guarda caso non ci ricordiamo proprio dove sia andato a giocare.