Esonerare Luciano Spalletti è come la Corazzata Potemkin in Fantozzi: una cagata pazzesca. Il presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio prova a salvarsi la faccia, ancora una volta, quando ormai da salvare c’è ormai poco. Non si è mai visto un allenatore di una Nazionale, per di più con tradizione e valori calcistici come quella dell’Italia, annunciare urbi et orbi il proprio esonero ma con ancora una partita ancora da giocare. Ha colto in fallo lo stesso presidente Gravina? Può darsi. Si legge sui giornali che avrebbe voluto comunicare la decisione solo dopo la partita di questa sera. Certo è che la sfida contro la Moldova (o Moldavia?) diventa uno spartiacque fondamentale. Se l’Italia dovesse vincere con un largo risultato, il mondo intero scoprirebbe come lo spogliatoio azzurro fosse contro Luciano da Certaldo, e l’irritazione salirebbe a livelli unici. E speriamo che non sia così.
Anche perché dal 3-0 con la Norvegia non si torna indietro. Non è che con un esonero si cancella una figuraccia storica per il calcio italiano. Specie se il problema sta nel chi addossa, adesso, le intere colpe all’allenatore.

Luciano Spalletti può aver sbagliato e fallito nella sua gestione, può anche essere che l’Italia spallettiana non abbia avuto identità o gioco, può darsi che in Italia non ci siano più i campioni come Baggio e Del Piero, ma il problema nasce a monte di tutto. È regolare affidare la corsa al mondiale a un allenatore, confermato dopo la debacle all’europeo, e poi darlo in pasto all’opinione pubblica dopo solo una partita? No.
A decidere per l’esonero c’è un signore che già non doveva esserci più alla guida della Federazione. Gabriele Gravina ha sì vinto un europeo sotto la sua gestione, ma è attore protagonista di tutti i recenti fallimenti. Una Nazionale campione del mondo per quattro volte gestita come un club di provincia.
Solo che a comandare nella Nazionale dell’Italia non c’è un imprenditore schizofrenico che prende il calcio come luogo dove versare le proprie ricchezze e sfogare i propri istinti primordiali, ma un dirigente pagato dalla Federazione che dovrebbe rappresentare l’intero paese.
Gravina a qualcuno piace, eccome. È stato rieletto con percentuali bulgare da tutte le componenti che gestiscono il calcio. Ha dalla sua una pletora di velinisti dalla lingua felpatissima, pronti a prendere il suo verbo e postarlo sui propri profili. E quindi che fare? Servirebbe resettare ma non si dimetterà mai. Ha dalla sua, appunto, il mondo del calcio a livello politico. Quando doveva farlo, ovvero dopo l’esclusione dal mondiale in Qatar, si blindò insieme all’allora tecnico Roberto Mancini salvo poi abbandonare anche lui un anno e mezzo dopo.
Dopo un europeo tragico, la Figc lo ha riconfermato ancora una volta. E quindi se va bene a loro, noi possiamo lamentarci? Sì. Perché adesso ci faranno passare l’arrivo di Sir Claudio Ranieri come una grande intuizione calcistica quando in realtà è una soluzione per silenziare le critiche. Ranieri è un mostro sacro e non può esser toccato.

Nello sport esiste un concetto di dignità sportiva che, anche in Italia, qualcuno ha esercitato. Giancarlo Abete e Carlo Tavecchio, per esempio. Entrambi protagonisti di fallimenti calcistici, entrambi dimissionari. Gravina sembra intoccabile e sembra che niente lo scalfisca, forse anche aiutato dall’importante stipendio che percepisce tra Figc e Vicepresidenza Uefa.
Se vuole bene all’Italia, si dimetta. Lasci spazio a un nuovo concetto di calcio, a una ripartenza che abbiam visto fare ad altre nazionali, a una nuova Italia del calcio. Altrimenti siamo destinati a un declino costante e infelice e poco potrà farci un gigante come Claudio Ranieri. Non siamo al Castel di Sangro, con tutto il rispetto per la storia calcistica della società abruzzese.
P.S. Non lasciatevi abbindolare dai racconti di queste ore. Non è stata tutta colpa di Luciano Spalletti.