Per talento e sceneggiatura, per durata e imprevedibilità. La finale del Roland Garros tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz è stato un match leggendario. L’ha vinto lo spagnolo al quinto set, al super tiebreak. Il numero uno al mondo ha avuto tre match point al quarto. Da lì la risalita del rivale. Un thriller, appunto. Perché nessuno “sport è prossimo all’efferatezza psicologica (e talora psichiatrica) come il tennis”. Lo ha scritto Andrea Scanzi sul Fatto Quotidiano. “Sinner era in perfetto controllo. A conferma però di come anche lui sia umano, per la prima volta nel torneo ha avvertito la tensione del momento”. Tensione che nel finale si è vista pienamente. Nel super tie-break e subito dopo la fine, prima della premiazione. Ma il passaggio decisivo, ovviamente, è quel quarto set, quando “Alcaraz ha tenuto il servizio neanche lui sa come, e a quel punto – da fighter senza pietà – ha cominciato a esultare persino più teatralmente del solito, aizzando la folla (sin dall’inizio platealmente schierata contro Sinner) e sperando di trarre entusiasmo dal pubblico e al tempo stesso di cortocircuitare la psiche di Jannik, granitico - e a tratti robotico - con tutti tranne che con l’amico (poco) e rivale (tanto) Alcaraz”. L’analogia, prosegue Scanzi, è con la finale di “Wimbledon 2019, quando Federer servì per il match, ebbe due match point consecutivi ma perse al quinto con Djokovic”. Quella al Roland Garros non sarà certamente l’ultima finale Slam che Jannik giocherà, “ma è una sfida che lascerà cicatrici persino in un atleta così centrato come lui”. I primi due set di “efficacia straripante” sono stati seguiti da una flessione nella terza parte di partita. “Il quinto set è stato un’altra coltellata per Sinner. L’italiano ha ceduto subito il servizio, apparendo svuotato, sfinito e prossimo ai crampi”, ma comunque capace di salire sul 6-5 e a due punti dalla vittoria. A quel punto, però, “Alcaraz – che ha picchi di genio unici – si è inventato autentici capolavori a raffica. È approdato al super tiebreak finale, e anche qui ha giocato in maniera irreale, conquistandolo per 10-2 con almeno sette perle pure (tra cui quelle sue solite smorzate intinte nel sadismo). Praticamente, a Sinner, dal 5-3 del quarto set in poi non ne è andata bene mezza”.

Una finale “platealmente epica, sublime e pazzesca, dannata e irresistibile, tra i due tennisti più forti del mondo (con distacco siderale su tutti gli altri)”, protagonisti di una rivalità che rende “calzantissimo” il paragone col dualismo Federer-Nadal. “Per Alcaraz è il quinto Slam vinto, mentre Sinner resta a tre”, scrive ancora Scanzi, ed esce “da questa (immane) delusione con la consapevolezza di poter vincere tutto anche sulla terra battuta, ma esce pure con la conferma che negli scontri diretti l’altro è più freddo di lui (infatti è avanti 8-4 negli head to head)”. A godere, “in mancanza di orgasmi reali”, saranno i detrattori di Sinner. “Chissà che a Wimbledon non ci sia la stessa finale (possibilmente non con lo stesso epilogo). Hanno generato bellezza tecnica e agonistica pure: solo applausi per entrambi”. In chiusura del pezzo per il Fatto, ricorda la vittoria di Jasmine Paolini e Sara Errani, che in altri tempi avremmo “celebrato come un’impresa, tenendo poi conto che Errani aveva già vinto il doppio misto con Vavassori, ma ormai ci stiamo abituando pure a due Slam vinti e una finale nella stessa edizione di un Roland Garros. Che tempi!”.

