Cinque ore e trentuno minuti. La finale più lunga della storia del Roland Garros. E probabilmente una delle più devastanti sul piano emotivo. Carlos Alcaraz batte Jannik Sinner e lo fa da sotto due set a zero, al super tie-break del quinto. È il suo secondo titolo a Parigi, il quinto Slam della carriera. Ha 21 anni. Ed è il primo tennista nella storia a vincere Slam su tre superfici diverse a quell’età. Stessi giorni, stessa età e stesso traguardo che Nadal raggiunse nel 2008: no, forse non è solo una coincidenza. E, soprattutto, non è solo una questione di statistiche. È questione di sopravvivenza. Di nervi, di forza mentale, di capacità di restare in piedi quando tutto sembra perso. Sinner è stato avanti, ha servito per il titolo, ha avuto tre match point nel quarto set. Ma Alcaraz non ha mollato niente, mai. Ha cancellato l’inerzia, ha distrutto la logica, si è aggrappato al match e l’ha trascinato via centimetro dopo centimetro. L’ha fatto con le gambe, col braccio, ma soprattutto con una ferocia agonistica che appartiene ai grandissimi. È lui il nuovo Re di Parigi. E ora nessuno può più negarlo.

Jannik Sinner, invece, ha vissuto il suo primo vero dramma sportivo da numero uno al mondo. Un match che poteva (e doveva) vincere. Una partita giocata a lunghi tratti meglio, con più continuità, più lucidità. Ma anche con più errori nei momenti decisivi. Per la prima volta abbiamo avuto la sensazione che Jannik fosse vulnerabile. Fallibile. Fragile. Eppure, anche in questo ha mostrato la sua grandezza: in piedi, con lo sguardo lucido e la voce spezzata, ha ringraziato il pubblico e il suo team: “Complimenti a Carlos, una battaglia stupenda. Sono felice per te e il tuo team, ve lo meritate. È più facile giocare che parlare in questo momento. Non dormirò molto bene stanotte”. Lo ha detto con un sorriso malinconico, stringendo il trofeo del secondo posto. E mentre lui cercava parole, Alcaraz veniva accolto da un’ovazione continua. Il pubblico, che per tutta la partita ha tifato più per lui che per l’azzurro, ha salutato il trionfo di un talento mostruoso.

Eppure, non è stata solo una battaglia di muscoli e colpi vincenti. È stata anche una lezione di sportività. Al secondo set, su un ace fischiato fuori a Sinner, è stato proprio Carlos a correggere l’arbitro: “È buona”, e il punto è andato all’azzurro. Nel tie-break del quarto set, Sinner ha ricambiato: su una chiamata dubbia, ha indicato il segno della palla dello spagnolo e ha detto “è dentro”. Due gesti veri. In una finale di Slam. Roba che non si vede quasi mai. Sulla terra, almeno per ora, Carlos resta davanti. Lo dice il punteggio, lo dice la storia, lo dicono i due match vinti in un mese: Roma prima, Parigi adesso. Sinner dovrà rimettersi in piedi e ripartire. Il prossimo obiettivo è Wimbledon, dove l’anno scorso aveva raggiunto la semifinale e dove Alcaraz è campione in carica. Le gerarchie sono in bilico, il ranking no. Ma la rivalità è pienamente accesa. E anche se oggi ha perso, il tennis italiano sa di avere in Jannik un campione vero. Solo che, almeno per oggi, non è bastato.