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Inzaghi out e fallimento Inter in Champions? Per Scanzi è una Caporetto. E Grasso? Questione di “digestione” del dolore. Mentre Cazzullo guarda al calcio italiano: “Non abbiamo leader, né fuoriclasse, perché…”

  • di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

3 giugno 2025

Inzaghi out e fallimento Inter in Champions? Per Scanzi è una Caporetto. E Grasso? Questione di “digestione” del dolore. Mentre Cazzullo guarda al calcio italiano: “Non abbiamo leader, né fuoriclasse, perché…”
Ora è certo: Simone Inzaghi non allenerà l’Inter nella prossima stagione. Sui giornali, però, anche prima della notizia si prospettavano scenari non ottimali. Andrea Scanzi ha parlato di una Caporetto e degli sfottò che inseguiranno i nerazzurri da qui all’eternità. Aldo Grasso, invece, si è concentrato sull’assimilazione del dolore. Aldo Cazzullo va oltre: il calcio italiano è in crisi, “non abbiamo né leader né fuoriclasse”

di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

Simone Inzaghi va in Arabia. Troppo pesante la sconfitta contro il Paris Saint-Germain. Troppi i soldi dell’Al Hilal. Ma già prima della notizia lo scenario non era dei migliori. Rimedi per batoste, paragoni con Caporetto e inviti a trovare nuovi leader all’interno del gruppo. Si sprecano consigli e analisi su ciò che è accaduto all’Allianz Arena il 31 maggio e cosa accadrà in via della Liberazione da qui a poco. L’Inter è stata travolta 5 a 0 dal Paris Saint-Germain di Luis Enrique. I tifosi chiedono che la società pronunci una parola: scusate. Sui giornali, invece, si prova ad andare oltre. Lo ha fatto Aldo Grasso sul Corriere della sera, concentrando il suo ragionamento sulla difficile “digestione” di una simile disfatta sportiva, resa ancora più pesante dagli sfottò dei rivali italiani, pronti a godere di quel “piacere maligno che si prova di fronte agli insuccessi e alle sfortune altrui”. “Per Nietzsche è una sensazione da ‘schiavi’, legata al rancore e all'invidia. Scrivo da intenditore di sconfitte e penso allo stato d'animo di Fiorello, di Celentano, di Salvatores, di Gino & Michele, di Nicola Savino, di Paolo Rossi, e sono curioso di capire se esistano procedure per elaborare la batosta della propria squadra del cuore”. La prima reazione è la ricerca di un colpevole, sia esso “l'arbitro, la sfiga cosmica, il Var, l'allenatore che ha sbagliato formazione, in questo caso Simone Inzaghi”. Poi c’è la condivisione del dolore, che spartito con altri pesa meno. Grasso cita Marco Klinger, “illustre clinico, nelle cui vene scorre sangue nerazzurro”, che di questa modalità ha parlato nel programma Netweek calcio show. “Ho l'impressione che Klinger parli a nuora perché Beppe Marotta intenda: Inzaghi non ha il carisma né di Mourinho né di Mancini, in squadra c'è carenza di leadership e se proprio bisogna cambiare allenatore il nome che spende è quello di Patrick Vieira: ‘La mia squadra — sta parlando della sua professione di chirurgo — continua a essere vincente perché si rinnova sempre. Questo è il segreto’”. In chirurgia, come nel calcio, ogni tanto serve dare una rinfrescata al team. Varie formule che però giungono a un esito analogo: “Il tifoso dell'Inter, come ogni vero tifoso, non smette mai di amare la propria squadra. Anche quando perde male. Anche quando ti fa soffrire più di quanto osi temere. La fede non si spegne”. Andrea Scanzi sul Fatto Quotidiano è decisamente più severo.

Aldo Grasso
Aldo Grasso

“Dal triplete al triniente. Dal trionfo al fallimento. La finale col Paris Saint Germain è una di quelle partite che resteranno in eterno. Troppo grande il divario, troppo enorme l'umiliazione. Verrà usata all'infinito dai detrattori per sfottere i nerazzurri, ora come tra cent'anni”. Scanzi ha ragione, con buona pace degli interisti: la croce di Monaco non si schioderà mai. Forse dopo la semifinale con il Barcellona i nerazzurri si erano convinti che il trionfo, ormai, fosse questione di tempo. Quasi come la magia della notte di San Siro li spingesse avanti, per inerzia. “La vittoria era praticamente data per scontata”, prosegue la firma del Fatto, “La mattina della finale molti tifosi più o meno noti hanno anticipato la festa, postando con puerilità straziante le loro foto (oltre-modo fighe) con la maglia dell'Inter, sorridenti e invincibili, intrisi di europeismo e internazionalismo e dunque certi del Sol dell'Avvenire. Si sono encomiabilmente portati sfiga da soli: complimenti!”. Inutili i tentativi di Beppe Marotta di riportare la calma, sostenendo la bontà della stagione nonostante l’epilogo. “Al contrario, è una sconfitta che non solo sbianchetta le imprese passate, ma le rende vane e financo indesiderate”. E Scanzi cita il gol di Francesco Acerbi al novantatreesimo contro il Barcellona: senza quel pareggio “l'Inter non avrebbe poi fatto la figura pietosa di sabato e i tifosi - uscendo in semi - avrebbero sofferto molto meno”. Ora, invece, che succede? “I nerazzurri frignano mentre tutto (ma proprio tutto) il resto d'Italia gioisce senza ritegno: da sempre l'Inter sta sulle palle trasversalmente perché paga quel suo essersi autoproclamata squadra onesta, giusta e illuminata, con buona pace di favori arbitrali, curve appena appena infiltrate e debiti come se piovesse”. Per non parlare dei trend à la “Trono di Spiaze” rivolti a Inzaghi e il ribaltamento dello “zeru tituli” di José Mourinho. “La Champions League smarrita in una finale-mattanza, il campionato buttato via come forse mai (mai) si è visto in Italia, Coppa Italia e Supercoppa smarrite per colpa di uno dei Milan più improponibili di sempre. C'è gente a Norimberga che fu condannata per molto meno (avvertenza: è un’iperbole)”. Infine, il paragone con le campagne militari finite male per antonomasia: “È stata una Waterloo, una catastrofe, un obbrobrio calcistico purissimo. Riprendersi non sarà facile. Pensavano fosse Champions e invece era una Caporetto”. Tornando al Corriere, anche Aldo Cazzullo ha deciso di scrivere del 5 a 0 subito dalla Beneamata.

Andrea Scanzi
Andrea Scanzi

“La finale di sabato scorso evoca in particolare l'ultima disputata dalla juve a Cardiff, nel 2017, contro il Real Madrid di Ronaldo. Se due anni prima l'impresa contro il Barcellona pareva impossibile, e invece i bianconeri a dispetto del risultato finale se la giocarono pressoché alla pari, con il Real gli juventini si illusero di potercela fare; e ne presero quattro”, dice Cazzullo. Insomma, i nerazzurri ci hanno creduto (quasi) troppo: “L'Inter è scesa in campo sovraccarica e di conseguenza svuotata. A tratti ricordava l'Italia di Spalletti all'Europeo dell'anno scorso. E viene da chiedersi se il problema — non dare il meglio sotto pressione - non riguardi anche il calciatore più rappresentativo dell'Inter e della Nazionale, Nicolò Barella”. Una tentazione forte, quella di parlare di Barella, specie con la partita contro la Norvegia alle porte. Ma la questione, prosegue il direttore del Corriere, è un’altra e riguarda in toto il calcio italiano. Il problema è: “Non abbiamo leader. Non abbiamo fuoriclasse. E i successi dei club sono quasi sempre trainati dai vivai, dalle rose nazionali, su cui si innestano gli acquisti dall'estero”. È sorprendente che “tra i figli dell'immigrazione non siano ancora spuntati campioni veri nel calcio, a differenza del volley e dell'atletica. I giovani italiani non giocano più a pallone per strada, così come non vanno più in bicicletta”. A sancire questa crisi, poi, ci pensano le statistiche: “Nelle ultime quattro finali di Champions le squadre italiane hanno subito tredici gol e ne hanno fatti due (l'Inter nessuno)”. Questione di numeri, ma anche di sistema.

Aldo Cazzullo
Aldo Cazzullo
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