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NOTTE DA INCUBO: Ero a Monaco, ma provo a raccontarvi il mio dolore per l’Inter

  • di Giulia Sorrentino Giulia Sorrentino

1 giugno 2025

NOTTE DA INCUBO: Ero a Monaco, ma provo a raccontarvi il mio dolore per l’Inter
Cosa si prova a perdere una finale di Champions? Io c'ero, ero a Monaco per l'Inter e voglio farvi capire, anche solo per una manciata di secondi, perché fa un male cane. E no, il calcio non è "solo" uno sport, è molto di più. È amore puro

di Giulia Sorrentino Giulia Sorrentino

Quando devi riempire di parole che non hai un foglio bianco virtuale provi a optare per una sorta di flusso di coscienza dettato dal dolore. Un dolore inspiegabile a tutti quelli che ti dicono che in fondo è solo calcio. Ma no. Ognuno di noi sceglie e incappa in quelle che sono delle passioni spesso e volentieri irrazionali, ma che intaccano lo stomaco, offuscano i tuoi pensieri e riescono a indirizzare in modo inspiegabile il tuo stato d’animo. Io oggi non avrei voluto scrivere perché almeno per un giorno avrei preferito vivere il mio dolore in solitudine. Ma il direttore di MOW sostiene che un bravo giornalista debba scrivere sempre. Beh, non concordo, perché scrivere un pezzo che ti dilania non c’entra niente con il giornalismo. Eppure, eccoci qui a dirvi come ci si sente di ritorno da Monaco, dopo una notte insonne e lo stupore più negativo che si possa percepire tra migliaia di tifosi nerazzurri all’Allianz Arena. Molti erano convintissimi di vincere, e forse la percezione dei tifosi è stato un po’ lo specchio di quello che abbiamo (o meglio non abbiamo) visto in campo.

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L'Allianz Arena

Non so e non mi so spiegare cosa sia successo ai giocatori, non ho la presunzione di pontificare su un allenatore che fino a prima della finale di Champions veniva considerato il numero uno, quello delle imprese, quello delle magie. Oggi già si parla di sostituto, di rifondare la squadra, e purtroppo molti di questi sono anche giornalisti. Forse la mia teoria allora ha più senso, quando quello che dici non ha senso meglio tacere. E allora mezza stampa italiana non avrebbe dovuto parlare. Dai loro iPad e microfoni pensano di poter sparare sentenze su uno spogliatoio moralmente a pezzi, su una squadra a cui può essere mancato tanto ma non il cuore. Per cui oggi io non sono in protesta con la squadra o con la dirigenza, ma con certi tifosi. E il dolore lo capisco, ma sono gli stessi uomini che ci hanno fatto sognare contro il Barcellona. Li andava benissimo, lì tutti erano dei campioni, oggi “solo” perché abbiamo perso sono da demolire?

Eh no, non funziona così. Perché oggi è IL GIORNO per essere interisti, oggi è il giorno per andare FIERI di chi siamo. Errori? Ce ne sono quanti ne volete. Il punto è che io non voglio vederli ora, perché sarebbe ingiusto. Allo stadio piangevo disperata, mi si avvicina una donna chiedendomi se il motivo fosse l’Inter. Annuisco. Mi risponde che lei ha lottato contro tre tumori. E lì minchia se ti blocchi. Lì chiedi scusa, e ti ricordi che c’è gente che lotta per la vita. Però poi ti dici che puoi soffrire per entrambe le cose, che non le stai mancando di rispetto, che sono due aspetti diametralmente opposti, però non può non farti riflettere. In macchina ora il silenzio regna sovrano, vorresti dire parolacce, ma non hai nemmeno quelle. Anche perché non saprei a chi rivolgerle.

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Non al PSG che ha dominato, non ai nostri. Con chi te la puoi prendere? Non con un gruppo che ha dato tutto e che sì, andrà cambiato in diversi aspetti, ma non si dimentica l’amore che ti ha dato. So benissimo che non si vive di rendita, ma i ricordi, almeno quelli, possiamo tenerceli? O, per non far dispiacere Capello non dobbiamo pensare troppo al passato? Vi dirò una cosa però, non appena l’arbitro ha fischiato io ero felice per Luis Enrique, per la sua bambina che non c’è più e che voleva alzare la coppa dalle grandi orecchie. So, anzi spero, che ora quella bambina stia sorridendo, che sia fiera del suo papà che ha subito il più grande dei dolori nel 2019, perdere la propria figlia di soli nove anni. E allora voglio pensare che sia giusto così, che questa vittoria è di Xana, che la merita e avrebbe meritato ancora molto altro.

Voglio pensare che la prima Champions del PSG sia per lei e che in una dimensione quasi metafisica ci fosse questa volontà. Cosa mi resta, quindi, di Monaco? Un amico a cui voglio ancora più bene, un gruppo meraviglioso di ragazzi uniti da un’amicizia indelebile che sembrano appartenere ancora a una vecchia generazione, quella della protezione, della dolcezza, della galanteria. Poi mi restano degli autisti di Uber completamente pazzi, una città orribile che però almeno per quarantotto ore è stata colorata di nero e di azzurro, l’antipatia dei tedeschi, una pessima organizzazione della Uefa ma uno stadio stracolmo di amore. Mi resta l’avventura, la speranza di gioire, la voglia di prendere e andare solo per lei, l’Inter. Oggi è molto peggio di Istambul, non c’è nemmeno lontanamente paragone. Oggi fa ancora più male perché non sai che prospettiva hai. A cosa mi aggrappo però? A un folle DNA interista che non ha mai smesso di sorprendermi. E so che a breve faremo ricredere tutti. Intanto, vi lascio al silenzio. Quello mio, di Antonio e dei due Marco. Nemmeno ci proviamo a dire qualcosa. Sappiamo che nulla avrebbe senso. Ma ci guardiamo con la consapevolezza che ci stiamo dicendo tutti la stessa cosa: non molliamo, anche se fa un male cane.

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