L’Italia, intesa come Nazionale di calcio, è morta. Definitivamente. Il suo cadavere è già nella bara ma nessuno ha il coraggio di seppellirla. Anzi si preferisce la putrefazione, con i suoi odori annessi. Al peggio non c’è mai fine. L’umiliazione sportiva che Luciano Spalletti e i suoi ragazzi hanno regalato agli italiani alla prima giornata della qualificazioni per i Mondiali Fifa 2026 contro la Norvegia raggiunge un punto sempre più basso. Il calcio italiano a livello di Nazionale ha toccato punti infimi e forse inaspettati dai più: due mondiali saltati, l’eliminazione tragica all’ultimo Europeo da campioni in carica e ora una lezione di calcio dalla Norvegia. I “salmonari”, come li definirebbe qualcuno, ci hanno insegnato cosa significa sentirsi parte di una selezione nazionale. Identità, coraggio, voglia di vincere e di giocare. Lo status quo del calcio si è capovolto di 360°? Possibile, quella che era la provincia estrema del calcio produce buoni giocatori, ma attenti a cadere nel tranello di assolvere qualcuno dallo scempio a cui abbiamo assistito. La Norvegia, tolto il fenomeno Haaland e Odegaard, ha schierato in difesa la coppia di centrali Ajer-Heggem, calciatori di Brentford (10° in Premier) e West Bromwich (9° in Championship, serie B inglese). A centrocampo c’era Thorsby del Genoa e Berge del Fulham (11° in Premier). Servivano dei fenomeni per batterla? La risposta è no. Non c’era da sottovalutarla prima, ma neanche da esaltarla poi. É una questione di qualità, come cantavano i Cccp. Bastava un po’ di dignità sportiva, un po’ di nobiltà d’animo calcistica che il solo Coppola, alla prima in Nazionale azzurra ha avuto. Il resto è stato un concerto di ectoplasmi che vagavano senza meta e senza idee per il campo mentre gli avversari ci insegnavano, nonostante i quattro mondiali vinti e la nostra storia, cosa significhi essere Nazionale e in Nazionale. Perché gli “eroi” di Oslo non avevano voglia di stare lì. Per colpa del selezionatore? Perché stanchi dalla stagione? Perché preferivano già Ibiza? Non è dato saperlo. Certo è che dopo il terzo schiaffo, nemmeno la voglia di tirare due pedate assestate bene c’era. Solo una mestizia calcistica servita e conclusa con l’unico tiro in porta fatto a fine partita da Lucca.

Un ex coach della Nazionale di Basket, Simone Pianegiani, diventò virale con un time-out quando urlò “Un po’ di dignità, facciamo a cazzotti almeno”. Ecco, i cazzotti li hanno presi in faccia gli Italiani, specialmente i più giovani. Con la sconfitta di ieri si complica dannatamente la strada per il Mondiale 2026 e una intera generazione di giovani italiani rischia di non vedere l’Italia qualificata per la terza volta consecutiva. Sarebbe un disastro epocale. “C’è più gusto a essere italiani” diceva una vecchia pubblicità. Ecco, i neo-maggiorenni non sanno neanche cosa sia vedere la nazionale azzurra lottare ai mondiali, visto che non raggiungiamo gli Ottavi dal 2006. La speranza delle lingue felpate che non possono criticare saranno gli spareggi. Ma ci siamo già passati e non è che siano così scontati. Oggi partirà la “caccia all’uomo”, che doveva già essere cacciato? Luciano Spalletti, uomo forte col destino forte, doveva salutare la sua esperienza col fallimento europeo e con lui la dirigenza sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Così non è stato forse, perché, come direbbe qualcuno, si preferisce il circolino? Sempre gli stessi, nonostante tutto. Nell’Italia dello Sport non contano i risultati e le idee, contano le stesse facce. Altrimenti Franco Carraro non si candiderebbe alle elezioni del Coni. Gabriele Gravina, quello dei brand da salvaguardare, sparisce appena l’Italia perde. Però puntualmente viene riconfermato. Nonostante un Mondiale mancato, quello in Qatar, e l’esperienza tragica dell’ultimo europeo è stato rieletto il 3 febbraio con una percentuale bulgara per il suo terzo mandato. A qualcuno andrà bene così. Beati loro. A me vedere un’Italia così fa venire tanta tristezza. Luciano Spalletti dice, a caldo, di voler continuare. Nonostante tutto e nonostante tutti. Ma per dimettersi ci vogliono tanti attributi, forse troppi. Serve essere dignitosi e sinceri, anche nei confronti del Paese. Giancarlo Abete e Cesare Prandelli, dopo la figuraccia mondiale nel 2014, si dimisero in blocco assumendosi tutte le responsabilità. Qua mentre la nave è già affondata, continuano a suonare una melodia gioiosa. E non raccontateci che è ancora lunga, perchè ieri un 2005 ci insegnava calcio, mentre nel nostro Paese i suoi pari età rischiano di non giocare neanche in Serie D. Non pensiamo neanche alla favoletta che non nascono più i Totti, i Baggio e i Del Piero. È una scusa. Qui manca proprio il culto dell’andare in Nazionale. Prima era un privilegio, adesso sembra quasi un peso viste le prestazioni e le facce dopo esser stati umiliati dalla Norvegia. Servirebbe ripartire da zero a livello dirigenziale. Un nuovo Presidente, un nuovo sistema di fare calcio, un nuovo selezionatore. Anche temporaneo, anche federale come succede per le nazionali giovanili. Ma serve resettare se vogliamo tornare a essere l’Italia nel calcio, altrimenti possiamo decidere di essere la Norvegia del passato. A quel punto però voglio lo stipendio più alto.
