“Posso dire che l’approccio dei piloti verso il format Sprint inizialmente non era favorevole (diciotto erano contrari e due favorevoli), oggi siamo all’apposto, ne abbiamo parlato durante la cena che abbiamo organizzato in Austria e tutti si sono espressi favorevolmente. Anche Max ha ammesso che c'è un senso. Quindi, vedo un’evoluzione da parte di tutti”. Erano state queste alcune delle parole del presidente e amministratore delegato della Formula 1, Stefano Domenicali, in una lunga intervista concessa a vari media italiani in cui aveva parlato del presente e, soprattutto, del futuro del circus. Un presente fatto di ricchezza e popolarità mai vista prima, un futuro, invece, tutto da scrivere. E alla base di ciò che verrà Domenicali aveva manifestato la necessità di mettersi in discussione, di esplorare nuove strade per cercare di crescere, ancora.

Come? Meno prove, più azione e, soprattutto, gare più corte. È questa la formula menzionata dall’italiano a capo di Formula One Group dal 2021, alla cui base vi è lo studio di dati che vedrebbero i cosiddetti “nuovi fan” sempre più coinvolti nell’universo della serie e, allo stesso tempo, orientati verso format di minore durata rispetto a quelli attuali. Ed è qui che entrano in gioco le Sprint Race, volute e spinte dalla stessa Liberty Media ma che, e questo è risaputo, non hanno mai fatto breccia nel cuore dei piloti. È per questo che, a primo impatto, le parole di Domenicali hanno fatto sorgere qualche dubbio: 18 piloti favorevoli su 20, troppo se considerato che storicamente molti avevano manifestato uno scarso, o addirittura scarsissimo, interesse nel format. D’altronde, un fine settimana senza prove diventa anche un fine settimana senza alcuna certezza per i piloti che, solitamente, cercano l’esatto opposto.

Erano però state parole inequivocabili che, non appena ce n’è stata l’occasione, sono state riportate agli stessi piloti. Il risultato? Abbiamo ascoltato gran parte dei protagonisti durante il giovedì di Monza e ben più di due si sono opposti, o comunque hanno spiegato di non aver avuto un vero e proprio confronto con i vertici della F1 come sostenuto, invece, da Domenicali. Il più chiaro e diretto? Ovviamente Max Verstappen: “No, sapete tutti cosa penso delle gare sprint”, aveva affermato in conferenza stampa, lasciando intendere che la sua posizione non sia affatto cambiata. “Vedo degli aspetti positivi. La gente guadagna di più. Ma io ne ho già parlato molte volte, conoscete la mia opinione a riguardo. Allo stesso tempo, capisco che lo fanno per rendere il prodotto più emozionante e posso capire che, per i tifosi che vengono in pista, sia più entusiasmante vedere le macchine correre piuttosto che girare soltanto in prova. Per noi restano molto importanti, ma comprendo che dal punto di vista di un fan possano risultare un po’ noiose. La F1, però, è così dagli anni ’50. Capisco che lo sport si evolva, ma non dovremmo esagerare. Penso che una gara sprint sia già, dal mio punto di vista, abbastanza folle”.

E la stessa domanda è stata posta a tanti dei team principal presenti nel paddock, con una sola risposta: un sorriso, un po’ di imbarazzo e un no comment. O, nel caso del team principal Ferrari, Frederic Vasseur, un po’ di ironia. Sempre a Monza, poi, era arrivata anche la risposta dello stesso Domenicali che, sollecitato sull’argomento, a Sky dichiarava: “Qual è la verità? Che nel mondo di oggi chi non ha il coraggio di mettersi in discussione non ha spazio. Non sto dicendo gare più brevi o più lunghe, bisogna avere il coraggio di discutere le cose. Dare per scontato che lo status-quo sia la chiave del successo per il futuro significa non interpretare bene i segnali che ci arrivano. Dal mio punto di vista, ho l’obbligo di porre sul tavolo questi elementi di discussione”.
Una visione corretta, perché un capo che si rispetti è questo che fa. D’altronde, la condanna non è al mettersi in discussione per migliorare, ma al far passare dei messaggi che in meno di mezzo pomeriggio sono stati rispediti al mittente. Perché dal mettersi in discussione a sostenere che quasi tutti siano favorevoli (quando così non è) a una mezza rivoluzione è tutt’altra storia. Ce n’era davvero bisogno?
