“Holger Rune mi ha scritto dieci volte”. Basta questa scintilla perché il web si incendi come carta velina: il povero tennista danese trasformato in lumacone bavoso, meme a catena, titoli a effetto, presa per il culo moraleggiante automatica. Tutto per dei presunti messaggi, tentativi digitali, notifiche che nessuno obbligava a leggere. Il tribunale della rete è rapido, impietoso, senza appello.
A innescare le fiamme è la tennista Anna Kalinskaya, 26 anni, nota più come ex di Jannik Sinner che per i suoi risultati sul campo, che in un’intervista video affronta il profondissimo tema dei colleghi corteggiatori. “Prima succedeva di più, ora sono più vecchia”, dice. E ride. Ride mentre racconta di questo ragazzo più giovane che ci prova, che insiste, che non molla subito. “Qualcuno mi ha scritto dieci volte prima di arrendersi. Chi è stato? Lo dico, Holger Rune... Scrive a tutte... Si merita tutto questo. Forse ha un'opinione troppo elevata di sé stesso o forse è senza speranza, ma non è l'unico”, dice Kalinskaya (secondo la traduzione dell'intervista in russo che rimbalza sui social), tra una risata e l’altra, con la leggerezza tagliente di chi sa di avere il pubblico dalla sua parte.
Il meccanismo è perfetto: il nome noto, il gossip trasversale, l’ironia immediata. Rune prova a difendersi con un tweet: “Potrebbero esserci differenze culturali in base alle quali scambia un commento a una storia per un invito a uscire. Se voglio uscire per un appuntamento, lo chiedo. Non preoccupatevi”. Ma basta? Ovviamente no. Una volta che sei entrato nel circuito del ludibrio collettivo, sei già colpevole. Di cosa? Di aver scritto su Instagram, al massimo di desiderio igienizzato e digitalizzato a distanza, al limite di goffaggine.
Ma dove sta la colpa? Qual è la cosa vergognosa in un ragazzo che manda messaggi a una ragazza che gli piace? Dove finisce l’interazione virtuale e dove comincia il crimine? Perché un eventuale tentativo di corteggiamento (peraltro a distanza, senza rischio, senza corpo), che fino a ieri sarebbe stato considerato normale, oggi diventa prova di arroganza, di ridicolo, di tossicità?
Rune non è nuovo al coinvolgimento in questo tipo di storie. Anche con Veronika Kudermetova la leggenda circola, messa in circolazione sempre dalla presunta “vittima”: un messaggio via Instagram, la risposta della giocatrice che gli ricorda di essere sposata, il dietrofront immediato e persino le scuse. Fine. Nessuna persecuzione, nessuna pressione, nessuna violenza. Un rifiuto accettato. Ma basta raccontarlo per trasformarlo in macchietta.
Rune andrebbe al limite sputtanato perché si ritiene tennisticamente alla pari o superiore rispetto a Sinner e Alcaraz, non certo perché manda dei dm. Non delle coltellate, non delle telefonate notturne, neppure delle offese. Dei messaggi che, se non graditi, si possono semplicemente ignorare senza alcuna conseguenza. Oppure rimandare al mittente, invitando anche con decisione a smetterla. Ma in privato.
E c’è una sproporzione che brucia. Perché se Rune avesse ironizzato sulla femminilità di Kalinskaya, se avesse diffuso dettagli intimi di lei, la condanna sarebbe stata unanime e giusta. Ma se è lei a sputtanare lui, se è lei a rendere pubblico ciò che era e sarebbe dovuto rimanere privato, allora il mondo può tranquillamente deridere e accusare, trasformando il malcapitato in meme vivente. Ma dov’è finita la linea di demarcazione tra tentativo interpersonale e colpa sociale pubblica? Perché ciò che accade nello spazio riservato di un dm (se accade, perché è tutto autocertificato) diventa automaticamente e impunemente spettacolo globale da talk show digitale, materiale da giudizio collettivo e da articoli di gossip spacciati per sportivi? La gogna è ormai la forma di intrattenimento preferita di un mondo che si crede virtuoso mentre mastica la carne fresca della reputazione e della privacy altrui.

Ciò che spaventa è il clima. Il corteggiamento è stato sostituito dall’ansia, quando non dal terrore. Il rischio del rifiuto diventa oggi anche e soprattutto rischio di sputtanamento. Se provi, sbagli. Se insisti, sei un mostro. E se non provi? Non esisti, sei invisibile. Un vicolo cieco relazionale, un deserto erotico mascherato da messinscena di civiltà.
E allora, visto che parliamo di tennis, facciamo un gioco: cosa succederebbe se tutti gli uomini smettessero di fare quello che ha portato avanti la specie fino a oggi, ossia provarci? Se per paura di essere derisi, esposti, fraintesi e magari denunciati (il “magari” è sempre meno ipotetico) smettessero di scrivere, di invitare, di tentare? Forse lo scopriremo presto. E non ci sarà niente da ridere, a meno che a qualcuno non faccia divertire l’estinzione.
Il tennis vive di scambi, di punti che nascono dal rischio. La vita pure. E invece stiamo andando verso un mondo in cui non solo non si può più osare toccare, non solo non si può più osare nemmeno avvicinarsi o rivolgere la parola, ma non si può più arrischiarsi neppure a scrivere un messaggio. Un mondo in cui un cuore che pulsa dietro uno schermo diventa subito un reato morale (quando non penale), e in cui desiderare nel proprio spazio e senza conseguenze per gli altri è ritenuto più grave che sputtanare immotivatamente in pubblico.
E allora sì, ridete pure di Rune. Chiamatelo imbranato, insistente, invadente. Ma ricordatevi che senza imbranati, insistenti e invadenti nessuno di noi sarebbe mai nato.

