Per due anni, anzi tre, l’abbiamo raccontato tutti come quello costretto a guidare sopra i problemi, “ridotto” a sopportare ogni mancanza tecnica e a sopperire mettendoci del suo. Adesso, però, la musica è un po’ cambiata anche per Fabio Quartararo, visto che comunque Yamaha qualche passo avanti l’ha fatto e che, su una delle due moto in più in livrea Pramac, è arrivato un certo Jack Miller. Non ha portato rivoluzioni, non ha chiesto rivoluzioni e, tutto sommato, l’australiano ha messo in tasca prestazioni più convincenti di quelle dei piloti ufficiali. Ribadendo pure, ogni volta che gli è stato chiesto, di non essere così convinto che il motore V4 tanto atteso farà segnare chissà quale svolta rispetto a un quattro in linea che invece ha ancora molto da dare. Atteggiamento aziendalista, quindi, e punticini che alla fine dei conti arrivano pure.

Non abbastanza per essere contenti in casa Yamaha, ma comunque qualcosa per rimettere in discussione un po’ tutto. Comprese – almeno agli occhi degli appassionati – le chiavi di lettura su Fabio Quartaro. Sia inteso: è un fenomeno e sarebbe a giocarsela ogni santa domenica con Pecco, Marquez o Martin se avesse un mezzo realmente competitivo, ma è anche vero che a quel mezzo ci sta lavorando da due anni come pilota di riferimento ascoltato da tutti. Ma è tutto ancora uguale. Ha scelto lui di restare con Yamaha, accettando un ingaggio di 12 milioni di Euro a stagione e sposando tutte le sofferenze di un progetto che inevitabilmente è a lungo termine. Il muso troppo lungo comincia a risultare stonato. Perché nella stessa griglia ci sono, ad esempio, quel Marc Marquez che due anni fa ha rinunciato al faraonico stipendio di Honda per salire su una Ducati e pure quel Fabio Di Giannantonio che ha detto no a un ingaggio da ufficiale e due anni di contratto in Honda per fare all in con la Ducati del Team VR46. In questa MotoGP, per dirla in maniera maligna, o scegli la grana o scegli la gloria e lamentarsi della mancanza di gloria quando la grana è già in tasca ha senso solo fino a un certo punto. O fino a che te lo permettono. Soprattutto quando, nel frattempo, in sella alla stessa moto è arrivato qualcuno che si lamenta di meno e porta a casa di più.
Ok, messa così può suonare cattiva e Fabio Quartararo non se lo merita. Troppo bravo, troppo pulito e pure troppo simpatico. Però forse è ora di dire che anche a Austin non è andato tutto male solo per colpa di Yamaha, al di là delle considerazioni sui problemi con l’elettronica, sul caos in griglia di partenza, sulla caduta inspiegabile nel giro di allineamento e sull’aver dovuto correre con la “moto B” (che nel box Yamaha non è una copia della A come succede in altri box). Non avrebbe vinto neanche con la prima moto? Sicuramente no e di cose da sistemare in Yamaha e sulla Yamaha ce ne sono tantissime, però questa volta viene da giustificare un po’ meno del solito le dichiarazioni nel post gara.
“Bisogna smettere di cercare sempre piccoli dettagli e cambiare ogni volta troppe cose – ha detto in una intervista a Canal+ - Ci sfuggono tante cose, ma penso che ora abbiamo davvero bisogno di stabilire una base e smettere di provare migliaia di cose durante i fine settimana di gara. Dobbiamo avere una moto, abituarci e cambiare solo le cose che ci aiutano davvero. Dopo un po', cambiare le cose di continuo produce confusione. Abbiamo una moto e dobbiamo lavorare su quella base: ci manca aderenza, ci manca potenza, ma questo è ciò che abbiamo e non troveremo quello che ci manca cambiando l'1% dell'elettronica. In Qatar vorrei andare con una base adatta a me e lavorare solo su quella. Non si può cambiare sempre tutto in continuazione”. Osservazioni e richieste anche giuste e più che condivisibili, visto che a farle è un campione del mondo che da ormai tre stagioni sta lì a soffrire, ma il senso di farle pubblicamente piuttosto che al chiuso nel box resta poco comprensibile. E forse è il segno di un ravvedimento tardivo: la grana non vale la gloria.