Sembrava uno dei tanti prospetti promettenti della scuola britannica, destinato a implodere sotto il peso delle aspettative. E invece Jack Draper, 22 anni, ha appena fatto irruzione nella top 10 Atp dopo la clamorosa vittoria a Indian Wells. Ma mentre c’è chi già lo incorona nuovo volto del tennis europeo, qualcuno dalle retrovie chiede cautela. Andy Roddick, che da ex numero uno del mondo sa bene cosa serve per arrivare e restare lassù, dice che “la sua forma fisica era sospetta”. Un’accusa lanciata durante il podcast Served, dove l’americano ha messo in fila tutte le zone grigie del passato recente di Draper: “Fino a otto mesi fa la sua condizione era sospetta. Ha avuto una sfilza di infortuni. Agli Us Open ha vomitato in campo. E si è ritirato più volte per problemi fisici. Ora sembra migliorato, ma non diventi un campione se non risolvi queste fragilità”. Eppure, Draper in queste settimane ha scosso il circuito. Un’esplosione definitiva? Forse. Ma c’è chi ha deciso di raccontare un’altra versione della storia. A farlo è Patrick Mouratoglou. Non uno qualunque: ex coach di Serena Williams, attuale guida di Naomi Osaka, uomo che conosce il tennis professionistico nella sua interezza.

Intervistato da Tennis365 alla vigilia dell’uscita del suo nuovo libro Champion Mindset, Mouratoglou ha lanciato un’ipotesi diversa: “I problemi di Draper? Forse non erano fisici, ma mentali”. Un colpo di scena nella narrazione. “Quando vedi un giovane in difficoltà fisiche come lui, a volte il vero ostacolo è mentale. Ricordo i crampi, il vomito durante le partite, segni di uno stress emotivo fortissimo. Non sempre è questione di preparazione atletica. A volte è il corpo che si ribella al peso delle aspettative”, ha spiegato il tecnico francese. Mouratoglou delinea un profilo diverso da quello tracciato da Roddick: “Jack è ambizioso, ha coraggio, e una mentalità vincente. Ma doveva imparare a gestire tutto questo in campo. Lo conosco un po’, e credo che molte delle sue crisi fisiche derivassero da un eccesso di pressione, non da una fragilità organica”. Il riferimento, neanche troppo implicito, è all’ossessione tutta britannica per “il nuovo Murray”, “il nuovo Henman”, “il prossimo Wimbledon champion di casa nostra”. Un’ansia nazionale proiettata sulle spalle di Draper. “Quando sfondi, ti piomba addosso un mondo intero: media, sponsor, federazione, pubblico. Tutti vogliono che tu sia quello giusto. Ma non tutti reggono”, continua. Poi c’è un dato strutturale. Draper è un giocatore alto, potente, fisicamente imponente. Come del Potro, come Cilic, come Zverev. E questo, nel tennis moderno, è spesso un problema.

“È un tipo grosso, e per i giocatori di quella stazza serve attenzione extra. Guardate del Potro: talento puro, ma una carriera martoriata dagli infortuni. Jack deve imparare a gestire il suo corpo per restare al top”, ha detto Mouratoglou. Oggi, secondo il coach francese, Draper è in buone mani: “Ha una grande squadra attorno, che ha lavorato bene sulla prevenzione. Ma dovrà sempre tenere alta la guardia”. C’è chi pensa che Draper abbia già toccato il suo picco. Altri, come Mouratoglou, sono convinti che il meglio debba ancora arrivare: “Non mi sorprende che sia entrato in top 10. Lo sapevamo anche prima della vittoria a Indian Wells. Ha tutto per restare lì: gioco, testa, coraggio. Ma il corpo va gestito come una priorità assoluta”. Nel frattempo, le due letture (quella clinica di Roddick e quella emotiva di Mouratoglou) si sommano più che contraddirsi. Jack Draper è arrivato. Ma adesso comincia la parte difficile. E a fare la differenza, come sempre, sarà l’equilibrio tra ciò che succede dentro il campo e ciò che impone il cervello.