Cosa hanno in comune Jack Miller e Johann Zarco? Come piloti niente di niente e come carattere non ne parliamo, però corrono entrambi su moto giapponesi, ma per squadre italiane. E sono, ad oggi, i due che stanno rendendo onore alla tradizione nelle corse di Yamaha e Honda. Sì ok, a Austin Johann Zarco s’è steso e il migliore dei piloti Honda è stato Luca Marini, bravissimo a restare in piedi e conquistare un’ottava posizione che vale quasi un podio, ma il francese è davanti in classifica generale e per ora la leadership tra i piloti Honda resta sua. Stesso discorso per Jack Miller, che a Austin ha messo in piedi una prestazione solidissima, chiudendo quinto nel GP lungo nonostante una M1 che negli ultimi giri non ne aveva più, con Fabio Quartararo rimasto impantanato nella confusione della squadra ufficiale, Alex Rins alle prese con guai fisici che sembrano non finire mai e il compagno di squadra, Miguel Oliveira, tenuto a casa dalla solita sfiga.

“Roma – ha detto Jack Miller - non è stata costruita in un giorno. Ma oggi è diventato chiaro che anche la Yamaha sta facendo molte cose giuste e che il progetto di sviluppo ha alcuni aspetti positivi. La M1 ha funzionato bene qui e penso che ne abbiamo tratto il meglio. Questo motiva. Ci vuole tempo, Ducati ci ha messo dieci anni per diventare Ducati”. Parole che l’australiano ha chiaramente riferito al marchio per cui corre. Ma che avrebbe potuto pronunciare anche un Johann Zarco parlando di Honda. E che, di fatto, dimostrano quello che in MotoGP s’era capito da un paio d’anni: servono gli italiani per far andare forte le giapponesi. Perché il “metodo Dall’Igna” è diventato quello imperante e perché assumere Max Bartolini proprio da Ducati, o anche Romano Albesiano da Aprilia (come ha fatto Honda) può non bastare.

Ingegneri che hanno fatto le fortune di altri marchi, ma che in Yamaha e in Honda, per quanto circondati da fiducia piena, non hanno quella carta bianca che si concede molto più facilmente in culture diverse da quelle giapponesi. E non è un caso se davanti a tutti in classifica, in questa fase in cui Yamaha e Honda stanno lavorando duramente per tornare competitive, ci siano proprio due piloti che hanno sì quelle moto lì, ma dentro team che più italiani non si può: Pramac per Jack Miller, LCR per Johann Zarco.
E’ il modo di lavorare che è diverso, è l’ambiente che si crea a fare la differenza e quello che Miller e Zarco, ognuno difendendo i suoi colori e inseguendo i suoi traguardi, stanno dimostrando potrebbe essere la chiave verso un definitivo ritorno di due marchi che hanno fatto la storia del motorsport. Perché quei risultati fanno riferimento a un approccio al lavoro in cui numeri, metodo, dati, analisi e calcoli contano magari un filo meno rispetto a aspetti più umani. O, perché no, anche all’azzardo di tentare strade non garantite. Yamaha e Honda l’hanno capito e per i costruttori europei non è una buona notizia.
