Che il tennis sia uno sport in perenne evoluzione lo si dice da sempre, ma stavolta a dirlo con dati alla mano è uno che il circuito lo conosce: Paolo Bertolucci, ex campione e penna della Gazzetta dello Sport. E nella sua ultima analisi non si limita a raccontare l’inizio di stagione: lancia una mappa del futuro. “Pensavamo che dopo l’epoca d’oro dei Fantastici Quattro saremmo entrati in un lungo periodo di buio”, scrive, “e invece sono arrivati Sinner e Alcaraz”. Ma attenzione: perché anche loro, giovanissimi e già dominanti, ora hanno due inseguitori dichiarati alle calcagna. Si chiamano Jakub Mensik e Joao Fonseca, e non hanno nessuna intenzione di aspettare il loro turno. “Mensik, capace di raggiungere la finale di Miami, è l’ultimo prodotto della straordinaria scuola dell’ex Cecoslovacchia, cui appartengono campioni immortali come Lendl e Navratilova”.
Il paragone non è gratuito, perché il ceco classe 2005 incarna alla perfezione quell’idea di completezza che ha reso grande la tradizione mitteleuropea: “Ha un gioco senza punti deboli in tutti i fondamentali, a partire dal servizio. Impugnature semplici, eleganza e compostezza nelle soluzioni, mano educata a rete, struttura atletica solida e notevole forza mentale. Ci troviamo di fronte a un giocatore in possesso di tutti gli atout per arrivare presto in alto e rimanerci a lungo”. Una visione lucida e anche prudente: perché, avverte, “dovrà affinare le sue armi attraverso l’esperienza di tanti match sulle spalle”. Ma la direzione è tracciata. Se Mensik rappresenta l’eredità classica, Fonseca è la scintilla sudamericana. “Ha riportato al centro del villaggio una nazione che dopo i fasti di Kuerten non era più stata in grado di proporsi ad alti livelli”, scrive Bertolucci. Anche per lui, il confronto con Sinner è inevitabile: “Fin da quando ha mosso i primi passi nel circuito, è stato paragonato a Jannik. Al numero uno del mondo lo accomuna senz’altro la capacità di giocare in spinta, imprimendo accelerazioni formidabili alla palla. A Miami ha giocato un dritto a 180 all’ora”.


Ma il talento non basta. Per emergere davvero, serve di più. “Fonseca ha mano migliore di Sinner, ma non bastano la pulizia dei gesti e la potenza del braccio: servono testa, cuore, letture tattiche perfette e lucide nei momenti decisivi. E in questo senso, ammette, le sceneggiate con il pubblico a Miami nella partita con De Minaur non mi sono affatto piaciute”. Però una cosa è certa, e su questo Bertolucci è netto: “Ciò che deve far piacere ai cultori della materia è che si tratta di due ragazzi che non esasperano l’aspetto fisico del loro sport, ma invece sanno giocare benissimo a tennis”. Ed è proprio questo il cuore della riflessione: Mensik e Fonseca non sono solo forti, sono anche stilisticamente puri, nonostante l’età. E l’Italia? Non manca nel radar del nostro ex numero uno. C’è una generazione, ma Bertolucci indica un nome su cui tenere gli occhi aperti: Federico Cinà, figlio d’arte, classe 2007: “È ovviamente azzardato metterlo insieme agli altri due, ma ha buonissimi fondamentali e una statura che potrà aiutarlo, anche se il fisico ha bisogno di irrobustirsi”. E qui torna anche il ricordo di un giovane Sinner: “Del resto, anche Jannik alla sua età non spiccava certo per i muscoli”.