Mai come oggi lo sport è diventato un oggetto pesante, intrecciato com’è a concetti di fede, appartenenza e identità. Quasi come se l’astinenza nazionale per la religione avesse spedito il sacro nei palazzetti o nei campi da calcio. Raffele Ferraro e la pagina che ha fondato, La Giornata Tipo, forniscono un’alternativa a questa pesantezza: “Non vedo perché non si possa utilizzare un tono leggero, senza parlare di guerra, nemici o feriti quando si parla di sport”. Una risposta semplice, come una partita di basket. Come la giornata di un qualsiasi fuoriclasse dell’Nba. Tutti ce lo siamo chiesti almeno una volta: cosa fa LeBron James quando si sveglia? Steph Curry beve il caffè con zucchero o senza? Ferraro è bolognese, anche se da anni vive a Verona. A Bologna il basket è parte della vita e della cultura, affiancato dai tortellini e dal calcio. Per certi versi, la pallacanestro sta un gradino sopra agli altri due capisaldi: “La scelta tra Fortitudo e Virtus sei obbligato a farla da bambino: o stai con una o con l’altra”. Se si parla di leggerezza, quindi, Bologna non è proprio l’esempio da seguire. Allo stesso tempo, però, questa città rende evidente il fatto che non può esserci solo il calcio nell’educazione sportiva di un paese. Gli altri sport ottengono la dignità che meritano solo in seguito a imprese fuori dal comune, per poi finire dimenticati un secondo dopo. E se nel nostro paese nascesse uno come Victor Wembanyama, cambierebbero gli equilibri? Impossibile dirlo. Di certo, quelli come lui fai fatica a non notarli: “Uno così capita una volta ogni cinquanta o cento anni”. A differenza dell’Italia, in Francia, dov’è nato Wembanyama, c’è un sistema che funziona e che ha portato la nazionale a ottenere importanti successi negli ultimi anni. Molti giocatori francesi sono già in Nba e questo ha senza dubbio aumentato l’interesse verso il campionato delle superstar. Anche se, va detto, Wembanyama non è l’esito di una programmazione: le rivoluzioni non bussano alla porta chiedendo il permesso. Al massimo entrano a gamba tesa dalla finestra mentre il padrone di casa sta dormendo. A quel punto, diventa troppo tardi per rifiutarle. Lo spazio che il giovane fenomeno si è preso non può essere svuotato. Ferraro a chi paragona un alieno del genere? “Mi ricorda i primi momenti in cui Usain Bolt si è visto nell’atletica: un centometrista con una struttura fisica completamente diversa dagli altri”. Impossibile sapere chi sarà il suo rivale nei prossimi anni. Ammesso che debba essercene uno: il cielo del basket è popolato da sempre più stelle e per questo diventa quasi impossibile valutare l’intensità delle singole luci. Questo non è per forza un male. Senza dubbio la rivalità tra Magic Johnson e Larry Bird ha salvato l’Nba negli anni Ottanta. Ma certe cose non si possono prevedere. Non si devono prevedere. Basta lasciare che quello che deve accadere, accada. Senza dimenticarci che parliamo di basket e non di guerra. Prendendola con leggerezza, come fosse una partita in una giornata normale.
Raffaele Ferraro, tu sei il fondatore della pagina La Giornata Tipo: com’è nata questa idea e com'è evoluta nel corso del tempo?
La Giornata Tipo nasce nel 2012, più o meno era il periodo in cui Facebook aveva avuto il boom in Europa e soprattutto in Italia. Sostanzialmente l’ho aperta perché, a differenza dell’uso comune che se ne faceva al tempo, non mi interessava iscrivermi per farmi gli affari degli altri. Io ho sempre giocato a basket e prima dei social network, quando si usavano ancora i forum, mi divertivo molto in quelli di basket emiliano-romagnolo. Poi ho portato il mio essere un po’ istrionico dentro Facebook.
E il nome come ti è venuto?
Quello deriva dal format che usavo spesso in questi forum, col quale inventavo le giornate che avrebbero potuto trascorrere i giocatori, gli arbitri e gli allenatori contro cui giocavo. Quando ho aperto La Giornata Tipo su Facebook ho iniziato a scriverle su giocatori famosi come Kobe Bryant, LeBron James e tutti gli altri.
Tu parli anche di basket europeo: qual è la differenza nella percezione della pallacanestro in Europa e negli Stati Uniti?
Domandone, nel senso che la risposta potrebbe essere lunga. C’è una differenza trasversale nell’approccio a tutti gli sport. In Europa il tifoso è molto più passionale, molto più legato a concetti “da curva” come la fede, l'attaccamento e il sentirsi rappresentati da quella squadra. In Nba la componente dell'entertainment è quella predominante. Tutti i problemi di tossicità e di violenza che magari ci sono in Europa, in America sono veramente sporadici. Il concetto che sta dietro alla filosofia, l’approccio alla sconfitta e alla vittoria, è abbastanza diverso dal nostro. Da noi la partita o la stagione vengono sempre visti come momenti senza un domani, ogni sconfitta difficilmente viene ben digerita. In Nba non è così, anche perché c'è un meccanismo diverso: non ci sono le retrocessioni. Insomma, chi ha una brutta stagione può essere premiato poi al futuro Draft e avere dei benefit. In Europa c’è un brutto rapporto con la sconfitta da parte di tutti: tifosi, stampa, entourage, dirigenza. È una visione un po’ drammatica.
Una pagina come La Giornata Tipo, che fa dell'ironia il suo punto forte, può avere un impatto ancora maggiore, vero?
Il concetto di base è tutto lì. La chiave che ho sempre utilizzato è quella dell'ironia, fin dal primo giorno, perché per me lo sport è divertimento: penso a un sorriso, a una risata. Perché non divertirsi nel parlare del proprio sport preferito? Poi questa chiave può anche essere utile per stemperare i toni molto pesanti. Ovviamente c’è chi la pensa in modo diverso e vuole mantenere quella tensione che vediamo negli eventi sportivi.
Fare ironia ha i suoi pro e contro, quindi.
Per me è soltanto pro: non vedo perché non si possa utilizzare un tono leggero, senza parlare di guerra, nemici o feriti quando si parla di sport.
Bologna, la tua città di origine, può essere una sorta di modello da seguire in questo senso?
Io credo il contrario (ride ndr). La divisione tra Fortitudo e Virtus è forse la cosa preponderante: chi è di Bologna e segue il basket è obbligato a scegliere. È una scelta che ti viene quasi imposta: quando sei piccolo, devi decidere se stai da una parte o dall'altra. Diciamo che secondo me è un po' complicato replicare quello che c'è a Bologna, dove il basket fa parte della cultura cittadina. Emulare quello che c'è lì, credo, richiederebbe tantissimi anni.
Come possiamo alleggerire o migliorare l’atteggiamento nei confronti dello sport?
Bisogna fare un discorso a livello generale, partendo dalle federazioni e arrivando, a cascata, fino ai semplici tifosi. Ci vuole una maggiore apertura mentale nei confronti di tutti gli sport. Il nostro è un paese molto “calciocentrico”. La democrazia sportiva intesa come investimenti, attenzione e promozione nei fatti non c'è mai stata. Ad alcune discipline viene dato giusto spazio solo a fronte di incredibili vittorie. Successi che magari fanno anche gioco ai media, che ne parlano perché portano attenzione e poi il giorno dopo finiscono nel dimenticatoio. Avendo anche avuto a che fare con alcune amministrazioni pubbliche di qualche città, posso dire che questa cosa si avverte tantissimo.
Bisognerebbe parlare di sport in maniera diversa?
Diciamo che non sarebbe male avere un pochino più di educazione sportiva già partendo dalla scuola, per far capire a tutti i giovani che lo sport è importantissimo e che tutte le discipline hanno uguali nobiltà e importanza. In Italia secondo me ancora facciamo fatica ad avere questo tipo di apertura.
L'Italia avrebbe bisogno di un Victor Wembanyama per fare questo salto nel basket?
Chissà, quelle sono anche un po’ botte di fortuna, anche se la Francia a livello cestistico già da tanti anni ha una produzione di giocatori di grande livello. Poi anche i risultati della loro nazionale degli ultimi quindici anni lo riflettono, quindi non è del tutto un caso. Ovviamente un giocatore bravo di 2,25 metri è una cosa che capita una volta ogni cinquanta o cento anni, però dietro di lui ci sono tutta una serie di giovani giocatori che si sono imposti a livello internazionale.
Come spiegheresti l'eccezionalità di questo giocatore a qualcuno che non conosce il basket?
Allora, posto che stiamo parlando nel momento in cui ha giocato la prima partita di regular season, quindi è ancora tutto da vedere. Al di là di questo, secondo me un paragone potrebbe essere come i primi momenti in cui Usain Bolt si è visto nell’atletica: un centometrista con una stazza, una struttura fisica completamente diversa dagli altri. Fino a quel momento, i velocisti nell’atletica erano tutti abbastanza brevilinei, poi arriva Bolt, alto quasi due metri, con leve lunghissime. All’inizio c’era anche qualcuno che muoveva qualche critica perché sì, aveva talento, però con quelle leve è difficile pensare di ottenere risultati. Lo sapremo fra qualche anno se Wembanyama avrà la carriera, unica nella storia, di Bolt. Però secondo me l’impatto è simile: qualcosa che a livello fisico e di talento grezzo non si è mai visto nello sport.
Mauro Bevacqua ci ha detto che un giocatore è rivoluzionario quando cambia il modo di intendere il basket e che non è solo una questione di bravura. Sei d’accordo?
Io credo che in qualche modo Wembanyama sia già rivoluzionario, nel senso che quello che lui fa in campo con la sua struttura fisica non si era mai visto prima. Quindi un domani sarà qualcosa di già visto. Se ci sarà un altro giocatore di quella statura in grado di poter fare quelle cose su un campo da basket sarà il secondo, non più il primo. Questa è già una testimonianza di una rivoluzione.
L’Nba di oggi è più competitiva di quella dell’epoca di Michael Jordan o dei grandi Boston Celtics?
A livello di dinastie che si sono formate, se le vogliamo chiamare così, ci sono delle analogie. Ciclicamente negli ultimi dieci o quindici anni ci sono state quelle dei San Antonio Spurs, poi dei Golden State Warriors e diciamo dei minicicli di dominio di LeBron James, che ovunque è andato ha vinto. Magari è più difficile vedere lunghe dinastie come sono state ai tempi quelle di Magic Johnson, di Larry Bird e dopo anche di Michael Jordan. Banalmente perché i giocatori di oggi, anche le superstar, cambiano molto più spesso squadra ed è difficile che ci possano essere lunghi periodi di vittorie. Stiamo ancora vivendo l’epoca dei super team, di giocatori che tra virgolette si mettono d'accordo pur di giocare insieme e provare a vincere il titolo.
Una rivalità contemporanea che sarà al centro del mondo del basket?
È un po’ difficile da dire perché il ricambio in Nba non è semplicissimo e lo vediamo da come si sta delineando quello che dovrebbe essere il Team Usa delle prossime Olimpiadi: per rimarginare la ferita degli ultimi mondiali stanno richiamando tutti quei campioni della generazione di LeBron, Kevin Durant e Steph Curry. Questo proprio perché il ricambio di superstar sta latitando. Lo dicono anche i titoli a livello individuale: negli ultimi anni gli Mvp della regular season sono europei o comunque non americani.
Perché non un binomio tra due giocatori europei, allora?
Le superstar europee in Nba non hanno questa grande rivalità. Cioè non ce la vedo una grande rivalità tra Luka Doncic e Nicola Jokic, o Giannis Antetokounmpo. Faccio fatica a immaginarla. Diciamo che, anche per una questione di carta d’identità, ai vertici io vedo Doncic. Non so ancora chi possa essere l'altro.
Perché nel basket non c’è una polarizzazione come quella tra Lionel Messi e Cristiano Ronaldo nel calcio?
Ce ne sono state nel basket di simili, Magic contro Bird su tutte: parliamo della vicenda cestistica che è stata la salvezza dell’Nba, che nei primi anni Ottanta faticava nei confronti delle altre league sportive americane. Oggi probabilmente ci sono tanti fuoriclasse, ma non di quel calibro a livello di aura e di carattere.
L’Nba generalmente ne guadagna da sfide del genere.
Ma non so neanche se sia ancora nell'interesse della lega questa narrativa del duello fra due giocatori. Forse è più nei loro interessi cercare di avere più democrazia, per così dire, e far sì che ci siano più personaggi di spicco. Anche l’Nba, comunque, sta vivendo dei periodi di alti e bassi e lo dicono i dati di share: da qualche anno le Final Four Ncaa, i tornei tra le squadre di college, registrano ascolti più alti delle Finals Nba. Probabilmente anche loro si stanno facendo delle domande. Diciamo che questo entusiasmo mediatico legato a Wembanyama mi fa pensare che la grande speranza dell'Nba è che possa esplodere nel brevissimo periodo e poi, chissà, trovare sulla sua strada un altro marziano come lui e far nascere una nuova rivalità.
Certe cose non sempre si possono programmare a tavolino.
Certo, ci sono delle congiunzioni misteriose. Basta pensare al tennis con il trio Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic: adesso anche il tennis è un po' disorientato da quel punto di vista. La domanda che si fanno tutti è: “Chi saranno i loro successori?”. Il destino ha voluto che i tre migliori tennisti della storia nascessero più o meno nella stessa epoca. Delle volte è semplicemente frutto del caso.