Pochi giorni fa, l’Italia ha perso il quarto di finale del Mondiale di basket Fiba 2023 contro gli Stati Uniti, la squadra più forte del mondo. Non siamo arrivati a giocarci le semifinali neanche quest’anno. “Questa squadra ha un futuro, dobbiamo essere orgogliosi”, ha detto a Sky il coach Gianmarco Pozzecco a fine partita. L’Italia poi ha perso anche contro la Slovenia, nella partita che doveva decidere il piazzamento finale. Risultato: ottavo posto. Un’altra nazionale, stavolta quella del calcio, ha giocato la prima partita sotto la nuova guida tecnica di Luciano Spalletti. Un misero pareggio contro la Macedonia che ha il sapore di sconfitta, contro la squadra che ci aveva eliminato dal Mondiale pochi mesi fa. Quella volta a guidare l’Italia era Roberto Mancini, da poco nuovo allenatore della nazionale dell’Arabia Saudita. Due esiti, un ottavo posto e una sconfitta, non di certo positivi. Eppure, se guardiamo al calcio, non siamo solo usciti sconfitti. Siamo usciti da perdenti, che è una cosa molto diversa. Roberto Mancini ha preso una decisione personale e legittima. Ci mancherebbe che qualcuno non possa decidere di cambiare vita. Un paese lontano, non solo geograficamente, e tanti soldi: circa 25 milioni a stagione. “Come rinunciare?”, si chiedono in tanti. Ma l’allenatore dell’Italia, forse, dovrebbe essere diverso. Dovrebbe valere di più. Non deve essere perfetto, intendiamoci. I modelli non sono fatti per esserlo, altrimenti sarebbero inimitabili. I modelli devono ispirare, tracciare strade che altri seguiranno a modo loro. Cosa ci vuole, dunque, per essere un allenatore di valore? Ci vuole la conoscenza della materia: su quella di Roberto Mancini nessuno può sindacare. L’Europeo del 2020, vinto affrontando squadre come Belgio, Spagna e Inghilterra, ne è la prova. Ma non basta, manca qualcosa. “Viviamo per le emozioni e oggi le abbiamo regalate” aveva detto Pozzecco, ancora a Sky, dopo la partita vinta contro la Serbia, squadra che è poi arrivata fino in finale. Nella stessa intervista aveva aggiunto: “Sono un uomo clamorosamente fortunato, fidarmi dei miei ragazzi, dal presidente Petrucci ai giocatori, è facilissimo per me”. Emozioni e fiducia. Esattamente i due elementi che erano venuti meno negli ultimi mesi di Mancini alla guida dell’Italia.
Roberto Mancini poteva recuperarle quelle cose. Dicendo no a quell’offerta avrebbe dato nuova carica all’ambiente. Si sarebbe circondato di una fiducia rinnovata. Invece non ha saputo rifiutare. Un finale non degno della bellezza del percorso. Si sono alternate interviste e smentite, polemiche e accuse nei confronti di Gabriele Gravina, il presidente della Figc. Una fine senza lacrime, il termine burocratico di una collaborazione professionale. Gianmarco Pozzecco non lo avrebbe fatto. Si commuove quando vede i suoi ragazzi dare qualcosa in più delle loro possibilità. O, ancora, quando il suo capitano, Gigi Datome, dice addio al basket. “Gigi è una leggenda”, ha detto di lui a fine Mondiale. Pozzecco può non piacere per tanti motivi. I suoi eccessi, le proteste, il circo che mette in piedi ogni volta in panchina. L’anno scorso all’Europeo era stato espulso contro la Serbia: a fine partita lo hanno ripreso correre negli spogliatoi e saltare in braccio a Giannis Antetokounmpo, in un video diventato virale. La sua attitudine un po’ teatrale può anche infastidire. Ma la passione per il gioco e la stima nei confronti dei suoi giocatori quelle no, nessuno può metterle in discussione. Probabilmente le differenze tra i due sono dovute anche alla provenienza da ambienti diversi. Il basket, in effetti, non sembra ancora un mondo infettato dalla stupidità e dell’arroganza, da anni dilaganti nel calcio. Basta sentire le interviste. I calciatori sembrano jukebox, macchine a gettone sintonizzate sulla stessa frequenza. Se le squadre registrassero alcune frasi modello potrebbero metterle in playback in ogni conferenza stampa e nessuno si accorgerebbe della differenza. I cestisti, almeno, sembrano essere pensanti e non idioti laccati d’oro.
L’Italia del calcio ha perso nell’ultimo periodo due leader fondamentali: Giorgio Chiellini e Leonardo Bonucci. Riferimenti per Mancini, figure a cui dare responsabilità all’interno di uno spogliatoio. Persi loro, perso il mister. Pozzecco, al contrario, ha potuto contare, oltre che su un gruppo incomparabilmente più amalgamato, su due colonne dello sport in Italia: Niccolò Melli e, di nuovo, Gigi Datome. Non è solo la colpa di un uomo. Il ciclo della Nazionale italiana di calcio doveva, forse, finire prima. Ma non per soldi. Le lacrime della finale dell’Europeo sono secche sulle guance di Roberto Mancini. Il nuovo allenatore dell’Arabia Saudita dovrebbe guardarsela qualche intervista di Gianmarco Pozzecco. Non come esempio di un tribale “orgoglio nazionale” ma per l’amore che dimostra in ogni partita, per gli eccessi e le parole fuori luogo. Uno l’opposto dell’altro. Chi è andato a sporcarsi di petrolio e chi resta, dicendo addio alla leggenda che è il suo capitano. Cosa resterà di loro, dunque? Di chi è fuggito in Arabia, francamente, l’amaro in bocca di un amore finito male e poco altro. Dell’altro, ancora non lo sappiamo: il viaggio è appena cominciato e la vetta più alta deve ancora essere raggiunta.