Si assomigliano da sempre, Mick e Michael. Negli occhi profondi che fissano senza distogliere mai lo sguardo, nel mento pronunciato e la mascella serrata, nei gesti di esultanza e godimento. Si assomigliano da sempre, Mick e Michael, ma nel weekend del Gran Premio d'Austria si sono assomigliati un po' di più. Là dove sembrava mancare un tassello di Mick, trovandolo, abbiamo ritrovato anche un segreto di Michael.
Che i paragoni per un figlio d'arte, o un figlio di leggenda come nel caso del pilota tedesco, non sono mai belli, giusti o sensati. Che il talento non fa parte del DNA, non si passa da padre a figlio. Che la mancanza di papà Michael per Mick pesa più di una presenza e sulle sue spalle basta già questa a valergli l'applauso di averci voluto provare, ad inseguire il sogno della Formula 1. Che pur non volendo dirlo in questi mesi di grande difficoltà per il pilota della Haas si iniziava a sussurrare un "manca il talento" quando "manca" in realtà era un metro di confronto, un giudizio, verso lo Schumacher che tutti ricordiamo.
Ma Mick ha saputo stringere i denti, andare oltre gli incidenti, le critiche di avversari, commentatori e anche del suo stesso team principal. Ha saputo trovare dentro di sé quella forza necessaria per riemergere e, nel momento più buio, il suo cervello ha fatto un clic. Dopo i primi punti in carriera conquistati a Silverstone, lottando come un leone e nel finale di gara dando anche spettacolo con il campione del mondo Max Verstappen, qualcosa è cambiato in Mick.
Le prestazioni della sua Haas lo stanno aiutando, ovviamente, ma Schumacher ha trovato il modo di portare la propria rabbia in pista. Da sempre composto, estremamente educato e sensibile, dispiaciuto e remissivo per ogni errore commesso, a Mick sembrava mancare la cattiveria necessaria per essere un pilota di Formula 1. Un tassello che, più delle somiglianze fisiche e del DNA che si portano addosso, lo fa improvvisamente assomigliare a papà Michael.
Lo sguardo post spint race in Austria, arrabbiatissimo per la gestione della gara da parte del suo muretto, le lotte con Lewis Hamilton e Fernando Alonso, un sesto posto che in gara vale come una vittoria. Eccolo, il clic. Mick che non ha più paura di essere Mick, di farsi valere, di dire quello che pensa, arrabbiarsi, alzare la voce. Come un pilota dovrebbe fare e come uno Schumacher ha sempre saputo fare. Papà Michael, zio Ralf, tutti fatti di quella pasta lì. Di arroganza e superbia, di muso duro contro l'avversario e corse nei box per andare a pareggiare i conti.
Non sapevamo che cosa mancasse a questo ragazzo, cresciuto con la schiena storta carica di aspettative pesanti come macigni, finché non glielo abbiamo visto scritto in faccia.
Gli mancava quello che non vedevamo in lui, l'unica cosa in cui non assomigliava al padre: nella rabbia di uno Schumacher. E forse gliela avremmo riconosciuta addosso, in questo cambio di mentalità così improvviso ed evidente, anche se Mick non fosse stato, per cognome e sangue, davvero uno Schumacher. Perché si cercano sempre inutili paragoni tra un padre leggendario, impossibile da imitare, e figlio in difficoltà. Ma proprio nel tassello che nessuno considerava, lì Mick ha trovato ciò che gli mancava. Una rabbia che ci fa godere e che, dopo un anno di sopravvivenza, forse farà finalmente godere anche lui.