Magari Ducati l’ha fatto apposta. Ci è servito quasi un mese per arrivare a questa considerazione dopo che i bolognesi, apparentemente contro ogni razionalità, hanno scelto di promuovere Marc Marquez al team ufficiale rinunciando a tre piloti, forse quattro con Di Giannantonio, e al Team Pramac, squadra con cui ha vissuto vent’anni di collaborazione. Di pancia verrebbe da pensare che l’amore - come quello di Dall’Igna per i fuoriclasse - porta a scelte poco ragionate, impulsive, lontane dalla logica con cui vanno gestite le aziende.
Eppure, vedendo le cose da una prospettiva più ampia non si può che pensare al fatto che se Ducati ha in mano questa MotoGP è proprio perché le sue scelte ha saputo farle meglio degli altri. E che forse l’amore su cui dobbiamo concentrarci per capire Ducati non è quello cominciato con Marquez, bensì quello finito con tutti gli altri. Scrivi su Google come farsi lasciare: ci troverai un articolo di Donna Moderna, una guida di WikiHow, la commedia romantica con Kate Hudson e Matthew McConaughey e un vademecum in cinque mosse di alfemminile.com che, quantomeno, infrange un buon numero di regole morali contemporanee. Indimenticabile poi Aldo Baglio in Chiedimi se sono felice, quando chiede agli amici di ‘Scarricare’ la fidanzata perché lui l’amore sa solo darlo e non toglierlo.
Ecco, questa lunga serie di addii a Borgo Panigale (nell’ordine Martín, Bastianini, Bezzecchi, Campinoti e, forse, Di Giannantonio) forse non è del tutto casuale. Non sarebbe assurdo, infatti, pensare che Ducati possa aver scelto di scrollarsi di dosso buona parte delle proprie responsabilità. Dal punto di vista dell’azienda avere sotto contratto quattro piloti da mondiale può essere estremamente dispendioso: Pecco Bagnaia devi pagarlo bene, ci hai vinto due titoli mondiali. Enea Bastianini pure, perché nel team ufficiale non puoi andarci per due lire. E Jorge Martín? Anche lui va pagato e senza risparmiare troppo, poi come se non bastasse c’è Marc Marquez a cui spetta l’ennesimo assegno pieno di zeri. Così cambiare strategia, rinunciando alla famosa politica-dei-giovani, che poi sono quelli che costano poco, può essere stata una scelta cosciente: l’unione fa la forza contro il gigante, se però ti accorgi del fatto che il gigante sei tu devi riorganizzarti.
La scintilla che ha fatto scoppiare la bomba
Ducati, a Barcellona, propose sia a Marc Marquez che a Jorge Martín di rimanere sotto contratto diretto, con la promessa che il migliore dei due, a fine anno, avrebbe ottenuto il posto nel team ufficiale, una decisione che di per sé avrebbe inciso non poco nel bilancio del Reparto Corse. Così, quando Marc Marquez ha rifiutato l’offerta, Ducati ha potuto cogliere l’occasione per tagliare i budget e razionalizzare l’azienda, in breve per farsi lasciare.
Meno piloti, meno stipendi. Nel 2025 Ducati pagherà Francesco Bagnaia, Marc Marquez e Fermin Aldeguer, considerando che l’ingaggio di quest’ultimo (un giovane, perché al vivaio non rinunceranno del tutto) non dovrebbe superare i 250.000 euro a stagione. Certo a Borgo Panigale non avevano nessuna intenzione di rinunciare alla Pramac di Paolo Campinoti, eppure sanno bene che Dorna - o Liberty Media quando risolverà le complicazioni con l’Antitrust - non ha nessuna intenzione di permettere a Ducati di avere otto moto in pista. Cosa che ha spiegato con grande onestà anche Gigi Dall’Igna dopo il GP d’Olanda: “Tutto il mondo voleva che perdessimo un team - ha dichiarato a Sky - e questo alla fine è successo”.
Perché lottare per mantenere questo vantaggio sportivo, cioè le otto moto in pista, quando è evidente che, dal punto di vista politico, l’organizzatore avrebbe fatto l’impossibile per lasciare almeno un team satellite a Yamaha? A questo va aggiunto il fatto che con tutte le probabilità nel 2027 ogni costruttore avrà un solo team satellite, non di più. E dovrà correre un prototipo nuovo, con motore di 850cc e tutta una serie di specifiche che vanno sviluppate adesso, investendo del denaro mentre si corre con le mille. Così, risparmiando sugli stipendi, si possono investire i propri soldi sullo sviluppo.
L'amore quello vero
Sì, in Ducati c’è un certo malcontento scaturito dall’addio di Pramac, eppure questa situazione innescata dalla firma di Marc Marquez potrebbe essere un buon colpo strategico. In un mondo in piena recessione, Ducati ha fatto quello che la gente non ha il coraggio, la forza o l’intuito di fare: ha rinunciato al superfluo. Ha chiuso i rubinetti tenendo con sé soltanto ciò che era strettamente necessario, quindi Re Francesco da una parte - che quest’anno potrebbe, verosimilmente, vincere il terzo mondiale in fila - e Marc Marquez dall’altra, otto titoli mondiali e un carico mediatico superiore rispetto a tutti gli altri, il che significa anche un maggior interesse da parte degli sponsor. Poco importa se Ducati abbia scelto di farsi lasciare come in una commedia romantica di vent’anni fa o se, invece, tutto sia successo spontaneamente: a un mese dall’accordo che ha portato Marc Marquez a Bologna, con la nebbia dell’esplosione che si è ormai diradata del tutto, la scelta sembra decisamente razionale. Anche perché l’amore quello vero, della Ducati come di Dall’Igna, non è per uno o l’altro spagnolo, né tantomeno per l’italiano che vince adesso: è per il primo posto.