Le interviste in circuito sono veloci. Le fai in un quarto d’ora ed escono nel giro di un pomeriggio, con il pilota che non vede l’ora di andarsene e tu che provi a condurre un interrogatorio senza sembrare uno sbirro. Così finisci per chiederti se sia giusto così, se siamo destinati a trasformarci in un esercito di scimmie che costruiscono barchette con cui circumnavigare uno stagno. Tanta fatica, poche idee, poca strada. Franco Morbidelli ci ha regalato un'altra storia, tutta diversa: siamo stati assieme per il tempo necessario e abbiamo parlato di tutto, come se tra noi ci fossero state due birre e non un registratore. Così me ne sono andato col cuore pieno e un'ottima ragione per essere venuto a Jerez de la Frontera.
Quando ci sediamo nel terrazzino dell’hospitality del Team Prima Pramac c’è un po’ di sole, a Jerez è già estate e così cominciamo a parlare del tempo, dell'ondata di freddo che ha investito l'Italia. “Domenica scorsa ero a un evento Dainese”, comincia a raccontare lui. “Ora ho questo California, con mia morosa abbiamo fatto la nostra terza uscita. Siamo andati ad Asolo e abbiamo fatto il giro dei boschi dormendo un po’ dove capitava”. Prende il telefono e mi mostra qualche foto del suo Volkswagen California parcheggiato in mezzo a un campo. “Qui abbiamo dormito in una vigna, praticamente nel giardino di uno. Col California è così, è stato bellissimo anche se faceva un freddo incredibile, due o tre gradi”.
Franco Morbidelli, lei che belva si sente?
Franco Morbidelli scoppia a ridere, poi si prende una ventina di secondi per pensarci.
“Ci sono momenti in cui mi sento un pappagallo, in altri invece un leone: faccio fatica a scegliere, però queste sono le belve che sento più mie”.
Un leone con le ali da pappagallo?
“Ecco, leone con le ali da pappagallo potrebbe funzionare. Comunque sì, Belve lo guardo, mi piace”.
Senti, com’è il Team Prima Pramac? Che clima hai trovato da loro?
“Ah, si sta bene. Il team, dopo quello che mi è successo a Portimão e la falsa partenza di questo campionato (Franco ha dovuto saltare tutte le sessioni di test invernali, ndr), ha fatto l’impossibile per mantenere la calma e così siamo riusciti a lavorare nella direzione giusta. L’ambiente è molto positivo, rilassato, tranquillo”.
Gino Borsoi ti fa mai venire voglia di fare il Team Manager?
“Lui è molto bravo. Sta vicino ai piloti, al team, è davvero concentrato sul risultato e mi ha dato tantissime belle sensazioni. Poi lo conosco da quando sono piccolo, sia dalla televisione che dagli inizi della mia carriera. Questo è una cosa che fa crescere il mio debole per Gino”.
A Jerez nel 2021 hai conquistato il tuo ultimo podio, una terza piazza. Poi la discesa e ora la risalita: hai superato la notte più buia?
“È così, c’è una bella risalita. La notte più buia mi sentirò di averla superata quando sarò tornato sul podio”.
C'è chi dice che per te sia cambiato tutto con l'infortunio al ginocchio nel 2021. Sei d’accordo?
“No, no. Quello è stato un infortunio normalissimo che è coinciso con tantissimi cambiamenti in un momento in cui ho cambiato tanto. Secondo me più che il ginocchio quello che mi ha dato una grossa botta sono stati tantissimi cambiamenti e la mia mancanza di elasticità nell’adattarmi a questi cambiamenti”.
Pare che una Ducati Desmosedici rispetto alla Yamaha M1 abbia il doppio dei componenti. Tu come valuti questa differenza tecnica?
“È una domanda alla quale saprò rispondere più avanti perché al momento ho davvero pochi chilometri sulla Ducati. Comunque abbiamo corso tre weekend in cui in realtà fai davvero pochi giri, prendi per esempio il venerdì di Austin: prima di fare il tempo hai sedici giri a disposizione. In un test magari ne fai ottanta. Per questo ora la mia conoscenza della Ducati è veramente poca, quello che sono riuscito a capire è che questa è una moto molto gentile con il pilota, non riuscirei ad andare più nel profondo”.
Nel cuore dei brasiliani hai un posto vicino a gente come Alex Barros e Ayrton Senna: cosa significa avere orde di fan brasiliani?
“È un bell’incarico quello di far gioire gli appassionati brasiliani, ma è bellissimo. Loro mi regalano un sacco di amore e io devo cercare di farli godere e divertire in pista”.
Parli il portoghese?
“Sì, sì”.
Come è stata l’ultima volta che sei stato in Brasile?
“Questo inverno sono stato dalla mia famiglia, a Recife. Più precisamente a Iputinga, nella favela. Quello della mia famiglia è Brasile vero, Brasile nero. Sono stato con i miei nipoti, che in realtà non avevo mai visto dal vivo ma soltanto dalle foto e dalle videochiamate di mia mamma. Siamo sempre stati in contatto, ma erano diciannove anni che non ci vedevamo fisicamente e tornare lì, vedere le mie zie, le mie cugine, i miei cugini… è stato stupendo. Sono riuscito a vivermi quello che chiamo il mio Brasile… Perché in fondo è una parte mia, da cui vengo anche io, da cui viene mia mamma, che mi ha insegnato un sacco di cose di questa vita. È stato veramente bello, non posso descriverlo altrimenti”.
Pensi che un giorno ti trasferirai lì?
“Ah, onestamente non credo. La verità è che sono anche molto legato all’Italia, al luogo in cui vivo. E poi tanto dipende dalla Franci, dalla mia morosa”.
Cosa fa lei?
“Mi dà una mano nella vita, aiutandomi in un sacco di cose a cui io non arrivo. Burocrazia, impegni, cose così. Mi aiuta tantissimo, stiamo insieme da… questo è il tredicesimo anno. Siamo andati a scuola insieme, è stata una delle prime ragazze che ho conosciuto quando mi sono trasferito e probabilmente è stato il primo amore che ancora rimane con me. È figo, è una bellissima storia. Sono fortunato”.
È la seconda volta in cui Franco si è illuminato: la prima parlando del Brasile, ora raccontando della fidanzata. Lui si sente quasi di aver parlato troppo: “Se vuoi puoi anche non scriverlo, eh”. Figurati, Franco.
Ti manca un po’ quel periodo in cui questa cosa delle corse era solo un gioco? E soprattutto, quando’è che ha smesso di esserlo?
“Non vorrei mai smettere di vederlo come un gioco. Però è vero quello che dici, a un certo punto per migliorare ho dovuto cominciare a vedere questa cosa più come uno sport. Quindi ho cominciato a essere molto più serio fuori dalla pista, più serio alle gare… ho questa enorme fortuna che per me è partito tutto come un gioco con mio babbo ed è proseguito come un divertimento con Vale, una cosa fantastica vissuta con Vale. Poi c’è stato questo periodo difficile, questi ultimi due o tre anni in cui ho dovuto avere a che fare con l’infortunio, i risultati che non arrivano, il livello che comunque si alza sempre di più e il fatto che la differenza si fa su cose sottilissime”.
Roba che ti conviene tagliare le unghie prima della gara.
“Eh, fai conto. Insomma, tutta questa cosa ha fatto sì che per continuare a fare questo gioco fantastico dovessi diventare più serio, affrontare le moto più come uno sport. E va benissimo, comunque è uno sport fantastico e quel sapore di gioco rimane sempre: sono nato da quel gioco e voglio tenermelo stretto, sempre con me”.
A proposito: con l’Academy guidate al Ranch, andate a girare con i kart, con le Ohvale, con le moto da cross, magari anche il motard. A te cosa diverte di più?
“Tra gli allenamenti Academy la mia cosa preferita è senza dubbio il Ranch, perché è la cosa che facciamo da più tempo a partire dalla Cava con Vale. Quindi ecco, flat track è la disciplina che mi piace di più, ma a dire la verità anche il kart mi piace. Ho cominciato nel 2015, quando mi sono rotto la gamba e volevo rimanere in movimento su una roba a motore e Uccio mi ha detto (imitando Uccio, ndr) ‘ma perché non fai il kart?’. Lui mi ha aiutato molto, mi ha preso il kart e da lì è partita una grandissima passione - e sclero - col kart”.
Perché se non vinci…
“Esatto, se vai a girare vuoi essere il migliore”.
Tu sei un tipo che compra le moto? Che ne so, una Honda VTR SP1, una Ducati 916, una Yamaha OW01…
“Allora. Io ho un sacco di moto, perché mio padre era pilota e quindi ho le sue, soprattutto due moto d’epoca: una MBA 125 e un Ringhini 50. E poi ho tutte le mie, ho cercato di tenerne un sacco. Tengo anche tante moto dei miei amici, che magari le lasciano da me. Il mio parco moto ce l’ho! È vero che non ho quella con cui ho vinto il mondiale nel 2017, dovrò parlarne con Marc (van der Straten, patron del team Marc VDS ndr.) perché non gliel’ho mai chiesta e mi piacerebbe averla”.
Di mezzi da strada invece ne hai qualcuno?
“A me piacciono gli enduroni di serie. Uno dei miei preferiti è l’Africa Twin, perché nell’officina di mio babbo io sono cresciuto con dei poster attaccati al muro in cui c’erano questa, l’XT… adesso ci vuole l’endurone della Ducati, una bella Desert X. Però io non ho la patente, eh”.
Qualche motorino tutto stappato ce l’hai? Col top viola, cose del genere.
“No, io da piccolo c’avevo la macchina”.
A benzina?
“No, no. Era Diesel. Però era scriccata, faceva i 120 Km/h. Poi in realtà avevo anche lo Scarabeo, ma non lo usavo mai perché ‘sta macchinina era troppo comoda. E c’avevo i miei amici che modificavano, facevano. Secondo me la mia è una delle ultime generazioni in cui si facevano quei lavori lì sul motorini, scriccamenti vari, modifiche, casini. Uno spettacolo”.
Sei stato a Imola a vedere Valentino Rossi, che ha fatto il suo primo podio nel mondiale endurance. Tu lo conosci da 15 anni: come è cambiato negli anni tra la famiglia, le corse in auto e tutto il resto?
“Il suo amore per il motorsport non è cambiato di un pelo. Mi sembra che aumenti soltanto col passare degli anni e questa è una delle cose che mi fa rimanere innamorato di lui. E poi sì, è cambiato in altri aspetti della vita, adesso c’ha ‘na figlia, è cresciuto, si sveglia prima la mattina, è più puntuale agli appuntamenti”.
Ah, quindi è addirittura migliorato?
“Sì, fantastico (ride, ndr.)”.
Sei tra i piloti più riservati della MotoGP, usi anche poco lo smartphone. Ma come si fa?
“Vorrei usarlo ancora meno! Mi trovo a perdere tempo spesso e volentieri su Instagram, mi viene naturale farmi gli affari degli altri e non vorrei. Però i miei amici ci stanno addirittura di più, non so come facciano. Poi altri miei amici ci devono pure lavorare. Forse ci vuole la giusta misura, io ancora ci devo arrivare”.
A cosa pensi, invece, di dedicare troppo tempo?
“Mah, sono in un periodo in cui sono molto contento di come spendo il mio tempo. Vorrei dedicarne un po’ di più ai miei amici, quello sì. Mi piacerebbe stare di più con loro, poi dovrei impiegare un po’ meno tempo a sonnecchiare nel letto con i cartoni animati davanti”.
Non ti voglio appioppare l’etichetta di pilota impegnato, però eccoci qui: sei forse l’unico, assieme ad Andrea Migno che ha messo un bell’adesivo di Aldo Drudi, ad aver mandato un messaggio di pace col casco. Che idea hai di questa cosa?
“Credo che un concetto che ha la potenza della pace vada espresso, lo sport lo può veicolare. Alla fine è uno spettacolo che molta gente guarda e se si può esprimere e mandare un messaggio positivo come quello di pace o uguaglianza e uno se la sente, deve farlo. Allo stesso tempo sono dell’avviso che si debba rimanere concentrati su quello che stiamo facendo. Questo è uno sport e bisogna fare sport, se ci sono dei periodi così delicati e dei messaggi così forti e assoluti… beh, allora si può fare”.
C’è chi dice che il cantante dovrebbe solo cantare e il pilota limitarsi a guidare. Un po’ è vero? O no?
“Eh, un po’ sì: Il cantante canta e il pilota fa il pilota. Però anche queste rimangono persone che hanno delle cose nella testa e se si sentano di esprimerle è giusto che lo facciano”.
C’è la scena di un film, il Caimano, in cui il protagonista è nel suo ufficio, il soffitto cede e sulla sua scrivania piove una valanga di soldi. Se a te cascasse davanti agli occhi mezzo miliardo di euro cosa faresti?
“Ostia, bella domanda. Mezzo miliardo è tantissimo, mi girerebbe la testa, non so cosa farei. Mi metterei a piangere”.
Credi nel destino?
“Sì… no? Credo che uno possa crearsi il miglior destino scritto per lui”.
Credi in Dio?
“Sì. Sì. Dal Brasile sì. Questa è un’altra cosa bella che mi è successa in Brasile. Sono stato con lai mia famiglia e mi hanno regalato la fede”.
Così però ci commuoviamo. Jimi Hendrix o Notorious B.I.G.?
“Notorious, perché lo conosco meglio. Solo perché lo conosco meglio però”.
L’ultima volta che hai fatto l’amore?
“Prima di partire, cerco di farlo sempre”.