Arabia Saudita, 01:54 am. In Italia è l'una meno sei minuti. In Uk sono un'ora indietro rispetto all'Italia, a New York si beve birra: non sono manco le sette di sera. Sta per accadere uno di quei momenti che si incidono per sempre nella storia dello sport. Del pugilato, quantomeno. A Riyadh, Francis Ngannou mette a segno un gancio sinistro che vale il knockdown per Tyson Fury nel terzo round del loro match. Francis Ngannou, fighter di mma, un esordiente nel pugilato al primo incontro professionistico della sua vita, che mette culo a terra il campione mondiale lineare dei pesi massimi, uno dei più poderosi pugili degli ultimi 20 anni. Ma che cosa cazzo sta succedendo? Fury sembra abbastanza incredulo. Ho resistito alle bordate di Klitchsko, al taglio sull'occhio con Wallin. Ho atterrato Wilder. Come cazzo è possibile che sono stato messo giù da questo?, avrà pensato. Ngannou invece è solido, compatto: come se lo avesse previsto, alla stregua di un oracolo compiaciuto della realizzazione delle sue profezie.
Andiamo con ordine: perché Tyson Fury contro Francis Ngannou è stato il match più roboante dell'ultimo periodo? È stato bollato come The Battle Of The Baddest, la battaglia tra i più cattivi (o cazzuti). A ragion veduta: Tyson Fury è un fenomeno mediatico e pugilistico, Francis Ngannou una potenza nelle Mma e un'icona di self-made man che è venuto dalla fame nera dell'Africa a Parigi per diventare campione a suon di pugni, calci e lotta. Fury campione del mondo di boxe, Ngannou di Mma. Come per Mayweather con McGregor, ci si incrocia nel terreno comune della boxe. Una formalità, dicono, per Fury. Un'opportunità per Ngannou.
Parte la macchina promozionale. Ci hanno investito milioni in pubblicità e consistenza mediatica, gli investitori sauditi. Perché è così che funziona la boxe: è sport, ma soprattutto è spettacolo. Per questo si creano narrazioni ingegnose, opinioni di comprovati analisti tecnici che sponsorizzano un pugile, si corroborano faide gigantesche e grottesche, face off al veleno, video reel da cardiopalma adrenalinico. Per questo hanno scelto Mike Tyson come trainer-simbolo di Ngannou: altrimenti che credibilità avrebbe avuto, di sfidare da zero una leggenda contemporanea come Fury? È stato perfetto. L'endorsement di Iron Mike è stato totale per Ngannou. Tyson Fury poi è un altro dinamitardo dell'avanspettacolo. Sempre pronto a fare panico e audience, capace di raccattare sponsor solamente facendo due battute sulla lunghezza dell’uccello di Ngannou. Un match che si è venduto da sé.
Lo show è una cosa. Fare boxe è un'altra. Sul ring, tutto questo va a farsi benedire.
Sul ring non salgono con te i follower, le condivisioni, il budget per targetizzare la tua audience. Siete tu e il tuo avversario. Soprattutto, tu e le tue paure. Forse, ti viene il pensiero di esserti andato a infilare in un ginepraio abbastanza torbido. Forse, pensi che avresti dovuto allenarti di più. Fare meglio di quanto hai combinato nel training camp. E quando alla terza ripresa Fury stava scambiando a corta distanza e si è messo nella condizione di farsi beccare da un colpo preciso e potente da Ngannou, lo abbiamo capito tutti che non sarebbe stata una prassi molto agevole per il pugile inglese.
Alla fine, è stato un match con punte di adrenalina, sì, ma anche piuttosto noioso. Fury ha fatto una prestazione piuttosto opaca, ma soprattutto dopo l'atterramento ha gestito bene la distanza (tranne nel round 8, dove ha rischiato nuovamente di andarsene a terra) senza prendersi rischi eccessivi, ma nemmeno impressionando. A tratti sembrava stesse facendo sparring, più che un match autentico. Pugilisticamente ha vinto Fury, con i giudici che gli assegnano la vittoria per split decision.
Ma è Francis Ngannou è il vero vincitore morale di questa sfida. È lui che era sfavorito e che ha ribaltato il mondo per otto secondi, tanto è durato il conteggio su Tyson Fury. È Ngannou che ha seguito il gameplan, che ha risposto sempre con colpi duri, che ha incassato poche bombe, che non è mai parso in difficoltà. Fury invece sembrava scarico. Non affondava, non era preciso, usava il jab giusto per punzecchiare e non per impostare. A fine match, Fury aveva la faccia gonfia. E questo, nel mondo del pugilato, conta molto. Ngannou ha temporaneamente piegato Fury. Ha perso molti round, ma senza mai andare davvero sotto. È stato tenuto a bada, ma non ha mai sofferto.
Ora: si dirà che Fury non si è preparato a dovere. Che è stata una farsa. Che è stato tutto organizzato, compreso knockdown. La storia della boxe è satura di momenti strani e loschi, basta studiare un po' di annali per scoprire incontri manovrati dalla malavita e quant'altro. Quindi mettere la mano sul fuoco è impossibile. Ma dobbiamo attenerci ai fatti. E i fatti dicono che Fury ha vinto, ma non ha convinto. Ngannou lo ha messo in ginocchio.
Cosa significa questo match, per la boxe? Anzitutto che ormai i sauditi vogliono dominare lo sport e ci stanno riuscendo. Solo loro potevano portare nella stessa serata di boxe, uno sport piuttosto di nicchia e finanche considerato sfigato dai più, una sequela così impressionante di vip a bordoring. C'erano tutti: calciatori, attori, cantanti, wrestler. Il panico del jet-set mondiale.
Poi, che per creare attenzione commerciale servono personaggi forti, non solo atleti di spessore. Brutto eh? Si, ma è il mondo che abbiamo creato. Ci piace la narrazione. Ci piace lo sputtanamento, il lurido ambiguo. Va così.
Terzo punto: a bordoring c’era anche Oleksander Usyk, campione dei pesi massimi di boxe delle sigle Ibf, Wbo, Wba. Speriamo di vedere presto la vera unificazione per il mondiale dei pesi massimi tra Usyk e Fury, che detiene la cintura Wbc. Perché va bene tutto, va bene Ngannou, va bene Fury che smascella a fine match. Ma vogliamo un unico campione assoluto, indiscusso, dei pesi massimi.
Ché forse, se la boxe è in crisi, dipende anche dal fatto che i migliori non sfidano quasi mai i migliori. E poi va a finire che fai la figura di merda in un match che reputavi easy work.
Shit happens, Tyson!