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Guida pratica alla violenza mentalizzata nel tennis, dove un’atleta ha fermato il gioco per insultare l’avversaria con l’arbitro: “Dille di mettersi il deodorante”

  • di Giulia Sorrentino Giulia Sorrentino

16 aprile 2025

Guida pratica alla violenza mentalizzata nel tennis, dove un’atleta ha fermato il gioco per insultare l’avversaria con l’arbitro: “Dille di mettersi il deodorante”
Altro che fair play: ma avete visto la scena della tennista che ha chiesto all’arbitro di dire all’avversaria “di mettersi il deodorante”, innescando una scena surreale? Un episodio che ci dà l'occasione di riflettere su quanto il tennis sia oggi soprattutto una guerra mentale, tra provocazioni, fragilità e nervi scoperti. Da Nadal a Djokovic, da Federer a Zverev

di Giulia Sorrentino Giulia Sorrentino

Scena mai vista su un campo da tennis. A Rouen, in Francia, primo turno del Wta 250: Harriet Dart si rivolge all’arbitro durante il cambio di campo, visibilmente infastidita. “Puoi dirle di mettersi il deodorante? Puzza troppo”. L’avversaria, la francese Loïs Boisson, rimane impassibile. E non replica con le parole, ma con i colpi: 6-0 6-3, una vittoria netta che rende superfluo ogni commento. Il gesto di Dart ha fatto il giro del web in poche ore, ma a ben guardare non è solo il meme del giorno. È la fotografia perfetta di uno sport in cui tutto, anche ciò che apparentemente non c’entra, può diventare arma, o scusa. Il tennis, da sempre, è un campo di battaglia mentale. E questo episodio, tanto surreale quanto eloquente, lo dimostra ancora una volta. Non è la prima volta che qualcuno cerca di destabilizzare l’avversaria spostando l’attenzione su un dettaglio laterale. Non è la prima volta che il nervosismo prende il sopravvento. Ma è raro che accada con questa evidenza, davanti a un giudice di sedia, davanti a tutto il pubblico. Eppure, è proprio questo il punto: il tennis si gioca con il fisico, ma si decide nella testa.

Loïs Boisson
Loïs Boisson

Un concetto che le leggende di questo sport hanno sempre sottolineato. Rafael Nadal ha spiegato più volte che “il tennis è prima di tutto un gioco della mente”. Un modo per ricordare che la gestione delle emozioni, la capacità di restare lucidi nei momenti chiave, è più importante di qualsiasi dritto. Alexander Zverev, in molte interviste, ha raccontato che la sua ossessione per il numero uno mondiale passa dalla forza mentale, non solo dal talento. Novak Djokovic ha attribuito la svolta della sua carriera a una ritrovata stabilità interiore, quella che gli ha permesso di reggere le pressioni che una volta lo facevano crollare. E Roger Federer ha parlato apertamente di “visualizzazione mentale”: immaginarsi la vittoria, ricordare la sensazione di alzare un trofeo, riprodurre quell’energia nel presente.

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Tutti hanno detto, con parole diverse, la stessa cosa: non vince solo chi colpisce meglio, ma chi pensa meglio. Harriet Dart, evidentemente in balìa di sé stessa, ha tentato un ultimo, goffo tentativo per interrompere il flusso dell’avversaria. Ma ha finito per confermare, suo malgrado, quanto l’aspetto mentale possa determinare un match, anche (e soprattutto) quando si perde. Rouen ci ha regalato una scena da incorniciare per chi studia la psicologia dello sport. E ci ricorda, ancora una volta, perché il tennis resta uno degli sport più spietati: sei solo, lì, con la tua racchetta e le tue paure. Tutto il resto è solo rumore.

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