Si capiscono tante cose di Maverick Vinales dall'ultima intervista che lo spagnolo ha concesso al giornalista connazionale Mela Chercoles del quotidiano "As". È come se tutto d'un tratto i nodi venissero al pettine: la matassa si sbroglia, i punti interrogativi svaniscono, le verità salgono a galla spingono negli abissi le perplessità. Perché Maverick, pilota dal talento immenso e cristallino, non ha mai trovato quella continuità necessaria in MotoGP per giocarsi un titolo mondiale? Perché una tale altalena di risultati dal roboante approdo in Yamaha del 2017 in poi? Perché questa perpetua oscillazione tra amore e repulsione nei rapporti con le Case che lo hanno ingaggiato? La risposta sembra venire fuori oggi che Maverick Vinales - 30 anni e padre di due figlie che mette sempre in primo piano - ha inanellato una prima parte di stagione tranquilla, solida, concreta e progressivamente costante. Dieci gare in cui è stato il trascinatore della KTM, che ironia della sorte è reduce dall'inverno più tormentato della sua storia finanziaria.
"Io ho dovuto maturare molto in fretta da ragazzino - dice Maverick - ma poi non sono maturato abbastanza dai 20 ai 25 anni. Ognuno matura al proprio ritmo, e la cosa importante in questo paddocck è avere la velocità. Se hai la velocità, prima o poi arriverai a giocarti il titolo mondiale". Eppure la risposta fatidica a tutte quelle domande non è questa, ma arriva subito dopo: "Ho ricevuto un offerta per affiancare Dovizioso in Ducati ufficiale nel 2019 e nel 2020 (Maverick avrebbe sostituito Jorge Lorenzo, nella realtà dei fatti rimpiazzato poi da Danilo Petrucci, ndr) e non aver accettato è il più grande rimpianto della mia carriera agonistica. Io pensavo di andarci, ma il gruppo con cui lavoravo allora mi ha convinto a rimanere in Yamaha. Errore totale ovviamente, errore totale”. Da questa dichiarazione è possibile riavvolgere il nastro della recente storia di Vinales: riguardi i suoi alti e bassi con il Team giapponese, ricordi le sue dichiarazioni una volta idilliache e quella dopo catastrofistiche, rammenti quell'addio brusco e assurdo a metà 2021, lo metti in relazione alla successiva relazione con Aprilia, cominciata con entusiasmo e conclusasi nell'indifferenza, se non nel fastidio reciproco. Adesso, tutto questo acquista un senso. Forse l'inquietudine di Vinales deriva da quella scelta sbagliata. Dal rimpianto di quello che sarebbe potuto essere e che invece non è mai stato.
Spuntano altri retroscena su quel periodo, a partire dal rapporto con Valentino Rossi, compagno di squadra sulla M1 per quattro stagioni: “L’unico anno in cui non l'ho battuto è stato il 2018, perché la Yamaha ha scelto il materiale tecnico che voleva lui. Ovviamente per me era più facile battagliare in pista con Valentino che fuori, perché fuori dalla pista lui era tutto. Avevo un buon rapporto con lui, anche perché lui è molto simpatico, gentile, amichevole. E poi è molto intelligente. Molto intelligente. Molto intelligente (non è un errore di battitura, Maverick lo ripete tre volte ammiccando simpaticamente alla furbizia del 46, ndr). E voleva vincere. Come tutti in questo paddock”. Sulla rottura con Yamaha a stagione in corso, avvenuto nel pieno di un back to back sul Red Bull Ring per i Gran Premi di Austria e Stiria, Vinales va dritto al punto: “Lasciando Iwata nel 2021 ho rinunciato a 17 milioni, otto più otto (aveva il contratto anche per il 2022, ndr) più Monster e altri sponsor che avevo allora. Ora, se mi guardassi indietro, mi sarebbe piaciuto fare le cose diversamente. Ho la sensazione che, con l'esperienza che ho ora e con la mia maturazione, forse avrei potuto onorare quel contratto. È molto difficile da dire".
Sul finire, Maverick insiste sul tasto della sua maturazione personale e professionale. La responsabilità della famiglia l'hanno cambiato ("Le mie figlie mi hanno insegnato valori che prima non capivo, come la pazienza. Dare affetto senza aspettarti nulla in cambio"), alcune letture l'hanno forgiato ("Nell'evoluzione di me stesso credo di aver fatto un'enorme evoluzione. La rabbia adesso può durarmi solo due minuti, è una cosa che mi sono imposto"), il sogno primordiale è sempre lo stesso: "Con l’atteggiamento che ho ora, se avessi guidato una Ducati, forse avrei vinto 3 o 4 titoli. Ma penso che dietro a tutto ciò che accade nella vita ci sia una ragione. Magari se fossi andato in Ducati mi sarei fatto male e non avrei corso mai più. Il destino mi ha portato qui in KTM e io credo ancora di poter vincere un Mondiale”.
