Dicembre è così: il Motomondiale è finito, i numeri che dovevi fare li hai fatti, c’è quell’aria di “quasi Natale” e, alla fine, ti ritrovi a avere pure un attimo in più per pensare. Non solo alle cose serie, ma pure alle inutili sciocchezze. Ecco, è in uno di quei momenti di leggerezza così che è arrivata, prepotente, una domanda: ma chi, nella MotoGP, non è invidiato proprio da nessuno? Sarà che i colleghi di MOW hanno pensato a un articolo in cui ognuno indica la sua “lettura dell’anno”, sarà appunto che c’è più tempo per le divagazioni mentali, ma il trick è stato quasi inevitabile: chi avrei voluto essere nella MotoGP 2024 e di chi, invece, mai e poi mai vestirei i panni?
Per la prima non basterebbe l’articolo più lungo del mondo, ma per la seconda non c’è alcun dubbio: Alberto Puig. E, probabilmente, sarebbe la risposta di chiunque. Perché se ce ne è uno in posizione scomodissima, eternamente messo in discussione e sempre, come si dice nella solita frase fatta, tra l’incudine e il martello, quel qualcuno è proprio Alberto Puig. Sì ok è stato un grandissimo, sì ok ha vinto tutto quello che si poteva vincere con Marc Marquez negli anni gloriosi della Honda, ma è del 2024 che si parla e l’impressione è che per quel ruolo lì, in quel box lì e dentro quel colosso industriale lì, lo stipendio di Puig potrebbe non essere abbastanza per nessun altro. Avrà fatto i suoi errori, avrà un atteggiamento spesso scostante e non sarà il personaggio che invece ci vorrebbe, ma chi altro ci avrebbe messo la faccia? E che i panni che indossa sono scomodi un bel po’, adesso, è stato anche lui stesso ad ammetterlo.
“La verità – ha spiegato in una recente intervista – è che io ragiono sempre da pilota. Sono prima di tutto un pilota anche se sono consapevole che adesso il mio ruolo è un altro. Quindi è come se fossi sempre tra la squadra e il pilota, cercando di interpretare le esigenze di una parte e dell’altra”. Un modo, probabilmente, anche per dire che non ne può più e che in Honda deve davvero cambiare qualcosa, altrimenti è un continuo “fare a capirsi” che non porta da nessuna parte. Soprattutto ora che la situazione è quella che è e ci si ritrova, dopo aver scritto la storia delle corse, a gioire come bambini per un decimo posto. Il punto, anche se Puig lo lascia solo intendere, è che per lui sta diventando impossibile accorciare le distanze tra la freddezza degli ingegneri giapponesi e il sangue sempre bollente dei piloti (a prescindere dai nomi e le personalità che hanno). Però Puig è anche uno che la “causa Honda” l’ha sposata veramente e non perde occasione per ribadirlo: “Dobbiamo continuare a mettercela tutta e a impegnarci al massimo, ognuno per il suo. Perché ogni piccolo miglioramento porterà nuovo miglioramento”.
A mollare, insomma, non ci pensa nemmeno, nonostante a settembre l’ipotesi di un suo addio era data quasi per scontata in vista del 2025. Evidentemente ha avuto garanzie che qualcosa cambierà davvero. Solo che nello svelare queste garanzie, Alberto Puig ha sostanzialmente anche ammesso quale è il grande male della Honda: la lentezza. Non quella delle moto, a cui si può ovviare, ma quella delle scelte. Un esempio? E’ quasi un anno che si parla di una sede per HRC in Italia (o comunque in Europa) per gestire tutta l’attività racing in maniera più agile e autonoma, ma quella sede è ancora al vaglio. Ducati, Aprilia o anche la tessa KTM, per intenderci, ne avrebbero già aperte e chiuse cinque, giusto per fare un esempio, nello stesso spazio di tempo che Honda sta impiegando per capire se, come e dove aprire in Italia. Sì, perché una decisione ancora non c’è, con Puig che ammette: “La Honda ha delle strutture in Spagna per la parte operativa, ma stiamo pensando di espanderci in altre aree. Però non posso dire che ciò accadrà a breve termine, ma solo che è ormai evidente la necessità di migliorare la comunicazione tra Europa e Giappone, non perché non sia buona, ma perché è difficile da un punto di vista logistico”.