Il Gran Premio d’Argentina resterà nella storia per il bottino pieno di Aleix Espargarò: pole position, giro veloce (l’11°, in 1:39.375) e vittoria. Non è stato il caso e nemmeno la pioggia a portare l’Aprilia, dopo anni durissimi, sul tetto del mondo della MotoGP. I radical chic (e il Governo) la chiamerebbero resilienza, il termine però è riduttivo. A fine 2020, quando ormai era chiaro che Andrea Iannone sarebbe rimasto fuori dalle corse per quattro anni, sull’Aprilia non ci voleva salire nessuno. Joe Roberts (lo raccontiamo qui) aveva addirittura litigato con il suo manager pur di non firmare. Poi a guidare la seconda moto ci ha pensato Lorenzo Savadori, mentre a Noale hanno cercato con tutto il garbo e la determinazione possibili di convincere Andrea Dovizioso a passare da loro. Altro no, altra umiliazione. Dovizioso ha guidato al Mugello, a Jerez e a Misano e alla fine ha preferito la Yamaha RNF di Razlan Razali. Dal punto più basso puoi risalire. Aprilia lo ha fatto e si è giocata tutto, Andrea no. A Noale hanno ingaggiato Maverick Vinales - l’episodio lo racconta bene il documentario MotoGP Unlimited - e con il primo podio di Aleix Espargarò a Silverstone hanno preso coraggio.
Nel frattempo, Andrea Dovizioso tentava di prendere confidenza con la Yamaha. Un esordio difficilissimo che, ad oggi, non si è ancora risolto. Il miglior risultato del suo 2022 è il 14° posto del Qatar, perché poi sono seguiti due ritiri: nel primo caso, in Indonesia, Dovizioso ha rinunciato per problemi elettronici. Nel secondo, in Argentina, ha dimenticato di disinnestare l’abbassatore anteriore, come ha spiegato dopo la gara: “L’ho chiuso, ma non ho spostato la leva per scaricarlo alla prima curva. Quando mi sono fermato in pit lane ho capito che era colpa mia”. Difficile per la classifica, ancora di più per il morale. Soprattutto perché, a sentire lui, non è stato un inizio sfortunato come quello di Bagnaia, è proprio difficile tirare fuori qualcosa di buono.
Sul perché Andrea abbia deciso di tornare a correre e di farlo con una squadra satellite si è detto di tutto. Per qualcuno basta guardare al bonifico della squadra malese, ma difficilmente la situazione economica del Team RNF ha permesso di elargire ingaggi faraonici a Dovizioso. Per altri, la voglia di tornare ad una quattro cilindri in linea dopo la parentesi in Tech3 nel 2012 ha giocato un ruolo fondamentale. L'obiettivo più o meno dichiarato invece era di fare bene il primo anno, farsi strada nel team ufficiale e tornare in lotta per il titolo. Difficile a 36 anni, non impossibile se le cose vanno nel verso giusto. Le prime tre gare del 2022 però non hanno avuto pietà di Andrea, in crisi profonda con una moto che non riesce a sfruttare nella velocità di percorrenza, al punto - nonostante una moto più recente - da trovarsi battuto dal compagno di squadra Darryn Binder fresco di Moto3. Nel giorno in cui Aprilia vince tutto con carattere, tecnica ed ostinazione, Andrea deve tirarne fuori una lezione di vita: rischiare, scomodi e appesi a un filo, può cambiare una storia. Si possono fare cose grandi, anche. L’Aprilia aveva tutto per lui, dal motore V4 che ha imparato a conoscere negli anni in Ducati ai cavalli per spingere forte, ma soprattutto una moto che richiede di staccare forte come piace fare a lui e una voglia matta di imporsi. L’hanno corteggiato, coccolato e voluto in tutte le maniere, sempre pazienti. Però c’era il motocross e la voglia di staccare, con quel ritiro poi ritoccato quando è arrivato Razali in cerca di un pilota. Invece, caro Dovi, serviva buttarsi, seguire la passione che a Noale hanno sempre messo nelle corse: meno azienda e più famiglia, meno certezze e più cuore. Per una casa italiana che ha reso grande il motomondiale, che ci ha ipnotizzati prima con le sue piccole cilindrate a due tempi e poi con i bombardoni da duecento cavalli. Dirlo oggi è più facile, ma a ben vedere è sempre stato così. Ed è un peccato pensare che ieri, sul podio di Termas, avrebbe potuto esserci anche lui.