Ci sono scuse giuste che non valgono nulla e scuse sbagliate che hanno un peso enorme. Le scuse della World Boxing (Wb) a Imane Khelif rientrano nella seconda categoria. “Vi scrivo personalmente per porgervi le mie scuse formali e sincere e per riconoscere che la sua privacy avrebbe dovuto essere protetta”. A parlare è Boris van der Vorst, il presidente della Wb, in una lettera visionata dall’Associated Press. La Wb, annunciando che avrebbe richiesto obbligatoriamente dei test del dna per accettare atlete nelle competizioni, aveva fatto il nome di Imane Khelif. Cosa inaccettabile, secondo van der Vorst, perché avrebbero violato arbitrariamente la privacy di un’atleta.

Questa autocommiserazione a buon prezzo sul mercato del wokismo sportivo, però, funziona poco. Imane Khelif è attualmente la migliore alle Olimpiadi della sua categoria, un oro nella boxe, non è una persona qualunque. Il suo caso fa discutere da Parigi 2024 e ora sono emersi importanti risultati (di cui vi abbiamo parlato qui) che potrebbero far vergognare il Comitato Olimpico (Cio), che dal 1999 non fa test salivari del dna a chi compete nella più nota competizione sportiva al mondo. Citarla come caso esemplare a sostegno della necessità di avere test chiari non dovrebbe essere così drammatico e immorale come fatto passare, in queste ore, per via della lettera scritta personalmente dal capo della Wb alla Federazione di pugilato algerina. Le scuse, comunque, restano parole. I fatti sono altri: tutte, compresa Imane Khelif, dovranno fare il test e la domanda vera è: se i risultati non dovessero piacere alla Federazione algerina, come abbiamo ipotizzato anche qui, saranno loro a chiedere scusa? E che fine farà l’oro vinto a Parigi 2024?

