Ci siamo assuefatti alle brutte notizie. Alla morte, ingiusta e prematura, alle atrocità di serial killer e squilibrati, che abbiamo trasformato in argomento da serie TV, podcast e speciali. Ci siamo abituati al male perché è questa l'unica strada che conosciamo per la sopravvivenza. Che il male è fuori, ovunque, ma è anche dentro: sta dove siamo noi, che ogni giorno nel quotidiano finiamo per distrarci, perdere la messa a fuoco delle cose e fare scelte fragili, egoiste, cariche di un risentimento che non ha radici e di una gelosia piccola e tormentata.
C'è un male, questo male, con cui siamo chiamati a fare sempre i conti, a cui con il tempo abbiamo imparato anche a dare un nome. E poi c'è un male a cui non ci abitueremo mai. È quello che anche sforzandoci non possiamo capire, perché supera la comprensione ed entra dentro a un mondo di cattiveria corrosiva. La storia sulle fotografie scattate a Michael Schumacher, risalente al 2016, che in questi giorni è arrivata alle orecchie della stampa è fatta proprio di quella cosa lì, di un male acido che brucia gli occhi e toglie il fiato, che fa venire i brividi solo da leggere, figuriamoci da subire.
"Una persona sconosciuta, presumibilmente all'epoca caro amico di Michael Schumacher - leggiamo in una nota pubblicata dai pubblici ministeri della procura di Offenburg - avrebbe scattato di nascosto, durante una visita nella sua casa in Svizzera, alcune fotografie al sette volte campione del mondo disteso sul letto, mostrando così le reali condizioni del pilota dopo l'incidente in cui è rimasto coinvolto nel 2013, e una volta uscito dalla villa di Gland avrebbe provato ad offrirle a diverse testate giornalistiche, tedesche ed europee, chiedendo in cambio una cifra superiore al milione di euro".
Fa schifo, questa storia. Fa schifo davvero. Fa schifo perché negli anni la famiglia del pilota ha cercato di proteggere in tutti i modi possibili la privacy di un uomo che si è sempre voluto mostrare forte e che oggi, è evidente, almeno nel fisico non lo è più. Fa schifo perché a tradirlo quindi è stato per forza un amico, uno di quei pochi a cui è stato permesso vedere Michael, dargli il conforto e l'amore di cui avrebbe bisogno. Fa schifo perché è un tradimento a lui, agli affetti che ha, al valore di un uomo che è indifeso e che proprio per questo è più facile da sfruttare. E fa schifo perché ci sono i soldi, a fare da collante a tutto.
C'è il guadagno, o almeno in questo caso il presunto tale, perché nessun media avrebbe mai comprato quelle fotografie terribili, privatissime, rischiando poi un'infinita guerra giudiziaria contro gli Schumacher. Ed è quello ad abbattere ogni schema della comprensione, è quello l'unico motivo per cui un amico - che amico quindi non lo è stato mai - avrebbe tirato fuori un cellulare dalla tasca e mentre nessuno guardava avrebbe fotografato un uomo che, lui lo sapeva benissimo, tanto non avrebbe potuto difendersi, gridare, andarsene.
È l'immagine di un Michael Schumacher debole, quella che questa storia ci restituisce. Di uomo che da quasi un decennio versa in una condizione che non vogliamo, non possiamo, immaginare. Ma allo stesso tempo è l'immagine di un uomo che nella sua vulnerabilità fisica, nella sua incapacità di difendersi dal male, appare comunque più grande di quello che gli altri hanno provato a fargli. Le notizie trapelate, le immagini rubate, le chiacchiere dentro e fuori dal paddock sulle sue reali condizioni, le domande scomode dei giornalisti al figlio Mick. Tutto lo circonda, quel pilota straordinario ricordato per la cattiveria in pista e lo sguardo fisso, durissimo, mentre sul quel letto non può difendersi da un amico che gli scatta fotografie per tentare di venderle alla stampa.
Tutto fa schifo, tutto aumenta questo dolore in un limbo infinito iniziato a Meribel nel 2013. Ma Michael Schumacher resta grande, nella sua fragilità, in una forma che non è più quella di un tempo. Resta immenso in una storia dove il piccolo non è lui, perché lui piccolo non lo sarà mai.