Ha una storia da fenice, Robert Kubica. Non tutti la conoscono davvero - per tanti è quel pilota che dalla Formula 1 è passato al WEC, che ha avuto un incidente nei rally e che per questo ha un braccio disabile. Oltre ai dati però, si cela un uomo che ha conosciuto la morte, l’ha guardata negli occhi e ha deciso di ripartire, di rinascere proprio come una fenice e di centrare traguardi ancora più grandi di quelli raggiunti, o messi sotto tiro, prima. Qualche giorno fa è stato protagonista assoluto, insieme ai suoi compagni di squadra Yifei Ye e Phil Hanson, della vittoria alla 24 Ore di Le Mans, che ha vinto per la prima volta in carriera e al volante di una Ferrari, quella squadra tanto sognata e che il tragico incidente in Liguria gli ha portato via. Perché dopo una carriera onesta in Formula 1, l’attenzione del Cavallino il polacco l’aveva conquistata, firmando un contratto che lo avrebbe visto al via della stagione del 2012 del mondiale con la rossa. Ed è stato proprio alla fine del 2011 che è rimasto coinvolto nell’incidente che gli ha provocato 42 fratture e lo ha costretto al coma per mesi, dovendo rinunciare così al sogno dei sogni.

A seguito della sua vittoria a Le Mans, Robert Kubica è stato intervistato da La Repubblica e, tra ripercorrere la sua carriera e parlare del trionfo alla 24 Ore, il polacco ci ha ricordato di quanto sia preziosa la vita e di come la resilienza sia l’arma più potente che ci sia. “Arrivai all’ospedale di Pietra Ligure con un litro e mezzo di sangue in corpo: ero in coma, e il mio dolore nel tempo è diventato il pensiero di chi mi aspettava fuori dalla sala operatoria” ha spiegato Kubica. “Il male fisico è stato un compagno quotidiano, fino all’assurdità che mi mancavano gli interventi chirurgici, perché quando ti risvegli dopo l’anestesia, finalmente fa più male, sei invincibile e felice” ha raccontato il polacco. L’incidente del 2011 per il pilota è stato come nascere di nuovo, dovendo imparare tutto quanto da capo. Da destro è diventato mancino, con il suo cervello che non ricorda più come vivesse prima di quel giorno: “Non so più fare il 95 per cento delle cose che facevo con la destra, ma tenere un volante sì. Non immaginiamo nemmeno la potenza di adattamento del cervello, per il resto sono diventato mancino”.

“Imparare tutto di nuovo da zero è stato faticoso, ma bellissimo” spiega poi il polacco. “I bambini cadono sempre, poi si rialzano. Noi non siamo bambini, però non smettiamo mai di cadere. Conta rialzarsi almeno una volta di più [...] Il Robert di prima si arrabbiava per un raffreddore, il Robert di adesso sa quante persone malate non si alzeranno mai più da un letto” ha raccontato. “Ora sono un uomo in pace, e un pilota che in gara va forte come prima per amore e per passione”, una passione che ha saputo adattare, che lo ha spinto a buttarsi nelle corse endurance, iniziando nel WEC un percorso che nel 2024 lo ha portato dalle LMP2 al volante di un’Hypercar, la Ferrari 499 P. Non è stato facile però tornare in pista: “Ricordo gli sguardi
perplessi di chi pensava solo ai propri affari, e toccava tasti crudeli per farmi capire che non sarei stato mai più un pilota che correva per vincere. Ho sviluppato compensazioni, ho dimostrato che non esistono più limiti di quanti ne immaginiamo, sbagliando” ha spiegato il polacco. “Alle squadre che mi hanno cercato, ho detto eccomi, adesso sono così. Sono un pilota vero e se vi piace correrò per voi. Ma se avete dubbi, okay, vi capisco: non immaginate quanti ne abbia avuti io”.
Il lavoro con AF Corse, al volante finalmente di una Ferrari - in un mondiale, anche se ben diverso dalla Formula 1 con tutti i suoi pro e i suoi contro - si è trasformato in una delle vittorie meglio costruite degli ultimi dieci anni a Le Mans, la gara delle gare. Per chi però ha letto quella vittoria come un regalo dal destino per il polacco, non è così: “Le Mans un risarcimento? No, mi spiace ma no” ha rivelato sempre a La Repubblica. Anche perché, per Kubica, il destino non esiste: “Ho deciso che esiste solo la costruzione che facciamo delle nostre vite. Prima gli altri in me vedevano solo il corridore, ora si sono accorti anche dell’essere umano”. Un essere umano che è uno degli esempi più importanti non solo nel mondo del motorsport, ma in generale. Colui che ha preso tutto quello che la vita gli ha dato, di bello e di brutto, e ne ha fatto una storia unica.

