Nel giro di 18 ore lo sport italiano offre immagini opposte, incredibilmente contrastanti. C’è l’Italia del calcio che a Berlino perde la faccia e viene respinta dalla propria curva, c’è l’Italia delle moto - Bagnaia su Ducati – che si arrampica tra le reti di protezione di Assen, che viene applaudita e tributata da centomila olandesi, in piedi sulle tribune più vintage del Mondiale. Ci sono gli azzurri che perdono dalla Svizzera, battuta 3-0 solamente qualche estate fa. Accade all’Olympiastadion, dove nel 2006 Buffon fermava Zidane e baciava la Coppa del Mondo. Dove ieri, seduto e incredulo sulle panchine dello stesso prato, assisteva al deturpamento di quella serata epica.
C’è Pecco, che nei Paesi Bassi vince togliendo trenta secondi al tempo di gara dello scorso anno. Bagnaia che al parco chiuso afferra e scuote una bandiera tricolore, che sul podio dell’università del motociclismo fa strimpellare Mameli. Si tratta già del quinto successo ad Assen per Pecco, che frena le nostalgie di chi ricorda le dieci perle di Valentino Rossi in Olanda. Nel giro d’onore il numero 1 di Chivasso si mette in piedi sulle pedane della Ducati: ha la visiera alzata, gli occhi che ridono e che - inquadrati nel casco rosso, nella tuta rossa, nella moto rossa - trasmettono semplicemente passione e orgoglio. Dall’altra parte, in Germania, una delegazione sparpagliata di uomini sale sulle scalette di un aereo a testa bassa. Le facce vuote, i pantaloni Armani. Neri.
È fin troppo facile sparare a zero su una Nazionale umiliata in campo, dalla stampa, dalle televisioni, per poi paragonarla impietosamente all’Italia delle moto. Perché? Perché il distacco è talmente abissale da sembrare incolmabile. Non si parla di risultato, parametro comunque imprescindibile che vede Bagnaia nell'Olimpo degli dei dopo questo weekend: primo tempo in entrambe le sessioni del venerdì, pole in qualifica col record della pista, sempre in testa nella Sprint Race dalla prima all’ultima curva, dominio replicato pari pari nella gara lunga della domenica, in cui ha ovviamente siglato anche il giro veloce. Pecco in carriera non è mai stato così perfetto, ma “perfetto” è un aggettivo già esageratamente inflazionato sul suo conto. Allora ci vorrebbe un termine nuovo, uno di quelli che va di moda. Aura? Aura. Sì, Pecco Bagnaia è terribilmente attraente. Per quella sua pulizia classica e anche un po’ regale che esprime nella guida, nei gesti, nelle parole: “Se ho ancora dei limiti da limare? Mi conoscete bene, quindi sapete perfettamente che sono molto critico con me stesso. Onestamente c’è moltissimo lavoro da fare, errori fatti recentemente erano evitabili. Questo weekend ho cercato di fare il massimo, come sempre”.
Ecco, se all’indomani dell’eliminazione agli ottavi dell’Italia ci si domanda quali siano le cose da salvare o gli appigli a cui aggrapparsi per ripartire, l’aura di Pecco Bagnaia, il metodo di lavoro della Ducati, il progetto VR46 Riders Academy, sono ottimi esempi. Forse sarebbe ora che il calcio guardasse al di là del proprio naso, oltre le mura dello spogliatoio, fuori dai finestrini dei pullman, per trarre ispirazione da qualcosa di veramente grande. Per evitare di ripetere sempre gli stessi errori, sempre gli stessi schemi. Le stelle e le stalle. Il “va tutto bene” quando si vince e l’improvvisa inchiesta sul malfunzionamento dei settori giovanili non appena gli azzurri perdono. In tre anni la Nazionale ha vinto gli Europei, non si è qualificata ai Mondiali per via della Macedonia del Nord, ha subito una rumba tetra e colossale dalla Svizzera nello stadio in cui avevamo collocato ricordi indelebili, calci di rigore contro la Francia che andavamo a rispolverare nelle serate fredde e tristi, quando avevamo bisogno di tirarci un po’ su. Oggi, se cerchiamo riferimenti nel nostro calcio, non sappiamo più chi siamo. Il risultato è un piattume generale che, invece di coinvolgere, crea disaffezione.
Che poi, per alzare la testa, non c’è per forza bisogno di guardare a chi vince, a Ducati e Bagnaia. Basterebbe un’unghia della determinazione di Bastianini e Di Giannantonio, che fanno a sportellate con Marc Marquez per un posto sul podio. Sarebbe sufficiente un decimo della forza di volontà di Bezzecchi, che in un weekend nero – nonostante sensazioni tremende in sella alla GP23 – si è steso quattro volte pur di provare a tirar fuori qualcosa di buono. La Nazionale non sarebbe stata così tartassata se ieri, al rientro in campo tra primo e secondo tempo, avessimo visto espressioni incazzate invece dello smarrimento più totale. Se, con la forza della disperazione, gli azzurri avessero trovato le energie per colmare il gap fisico e andare a duecento all’ora. Se avessero dato davvero il massimo, se si fossero messi a picchiare (nel senso più sportivo che esiste) - se si fossero riversati compatti nella metà campo avversaria, a costo di prendere cartellini e il terzo gol su contropiede – avrebbe avuto tutto più senso. Se Baggio, Del Piero e Totti nel ritiro di Coverciano non sono bastati per scuotere l’Italia del calcio, non resta che prendere spunto da chi – a duecento all’ora e oltre – va alla grande. Consoliamoci con l’Italia delle moto, ne vale davvero la pena.