E’ antipatico. Non sa comportarsi. Passerebbe sopra anche a chi ama. Su Jorge Lorenzo negli anni s’è detto di tutto, riconoscendo al ragazzo di Maiorca un talento e una capacità di impegnarsi mostruosi, ma anche sottolineando quasi sempre gli spigoli di un carattere particolare. Spesso scostante. E solo chi ne ha conosciuto bene la storia l’ha sempre difeso, col rischio di risultare a sua volta indifendibile. Non c’entrano niente le rivalità, il 2015 e quelle cose lì da tifosi, ma c’entravano, piuttosto, atteggiamenti che risultavano incomprensibili ai più. Soprattutto in un momento in cui l’altro grande protagonista delle corse in moto era uno tutto battute e sorrisi e pure personaggi come Capirossi, Melandri o lo stesso Simoncelli riuscivano a avere quell’approccio da patacca che faceva risultare antipaticissimi tutti gli altri. E Jorge Lorenzo, probabilmente, è stato quello che l’ha pagata di più.
Gli anni che passavano e la maturazione che è arrivata, però, hanno cominciato a raccontare altro e a lasciar intravedere un dubbio: ma non sarà che, come ha sempre sostenuto chi lo ha conosciuto bene, quel ragazzo è solo pieno di fragilità? Nessuno l’ha mai visto ridere davvero, meno che mai piangere. Eppure quegli occhi hanno sempre giustificato quel dubbio. Il tutto mentre si scopriva che quel ragazzo era stato cresciuto da un padre che è stato più un programmatore di campioni che un genitore. Andando avanti quel dubbio s’è fatto quasi certezza in molti di quelli che l’avevano bollato e etichettato come un inguaribile st*onzo senza sentimenti. Ne ha. E pure da vendere, forse molto più di tanti altri. Viene da dirlo definitivamente, adesso, dopo l’ultima intervista rilasciata dal cinque volte campione del mondo sul suo stesso canale Youtube, Duralavida.
Un’intervista che probabilmente sarà ripresa da tutti per altre ragioni, visto che Jorge Lorenzo dice che sta sentendo la mancanza delle corse e che, “se Dorna vorrà” (testuali parole, ndr), è pronto a rimettersi in gioco in qualche ruolo ovviamente differente da quello del pilota e visto che nella stessa intervista ammette pure di aver provato “invidia per Marc Marquez vedendolo festeggiare la vittoria a Aragon”. Come se quel campione che sembrava finito e che invece è rimasto lì a lottare contro tutto e tutti fino a riuscire a vincere gli avesse fatto suonare ancora prepotentemente nell’anima il rammarico di aver detto basta. Tutte considerazioni che, però, sono sportive. Mentre su MOW da sempre abbiamo un problema: l’umanità ci attrae ancora di più. Tanto che di quell’intervista è ben altro a colpirci.
Se avessi un figlio gli insegnerei l'empatia. Mio padre...
Come, ad esempio, il racconto del “papà” che Jorge Lorenzo vorrà essere un giorno e che probabilmente spiega veramente tutto di un uomo che è sì diventato un campione, ma a cui è stato negato d’essere un bambino. E finisce per rendere la misura di quanta forza e quanta umanità ci sia comunque voluta per realizzarsi veramente, quando quelli che hanno avuto quel trattamento lì, di solito, finiscono per fallire e magari pure per affogare dentro la delusione del fallimento. Jorge Lorenzo non ha fallito. Anzi ha vinto. Poi lo ha fatto ancora. Per cinque volte. Poi ha detto basta e ha cominciato a crescere, passando anni a provare a capirsi. E adesso è come se fosse definitivamente uscito allo scoperto, parlando, appunto, di un futuro umano oltre quello che comunque vorrà e saprà costruirsi nel Motorsport. “Se avessi un figlio – ha spiegato – gli insegnerei a essere empatico, a comportarsi con le persone, a provare a capirle, ad essere educato . Cercherei di insegnare questi valori (attenzione: li chiama valori, ndr) nel miglior modo possibile perché, poco a poco, io ho dovuto imparare tutto questo da solo. Osservando gli altri o leggendo. Mio padre mi ha insegnato i valori del non mentire mai, dell’essere serio, dell’essere puntuale, tutto questo. Ma a livello di empatia, educazione e così via, ho dovuto fare da solo. E oggi penso che sia stato difficile anche per i miei genitori, perché non hanno saputo dimostrare più affetto verso di me o verso mia sorella. Semplicemente non hanno saputo come farlo, ma non significa che non ci amassero”.
Ho iniziato a festeggiare solo nel 2015. Veniva anche Marquez...
Sono parole di una potenza disarmante. Perché c’è crescita, c’è immedesimazione e c’è perdono autentico. E perché escono dalla bocca di uno che invece per una vita s’è protetto dietro una armatura che oggi avrebbe potuto far brillare e rendere luccicante e che invece Jorge Lorenzo sembra aver deciso di svestire definitivamente. Mettendosi in qualche modo a nudo. Al punto di lasciar intendere che a mancargli di più delle corse non è il vincere, ma l’umanità che c’è nell’onorare le vittorie. Quasi che vincerebbe ancora per festeggiare e recuperare tutte quelle volte che ha vinto e non ha festeggiato abbastanza. “Agli esordi nel Motomondiale – ha raccontato ancora – vincevo le gare, salivo sul podio e neanche festeggiavo perché già pensavo che volevo vincere pure quella dopo. Ho cominciato a godermi le vittorie solo nel 2015: nel mio motorhome ho organizzato delle feste pazzesche, on la musica a tutto volume, ballando, urlando, cantando. Venivano anche altri piloti, anche Marc Marquez spesso passava. Da lì ho iniziato a festeggiare non solo le vittorie, ma anche i podi e ho imparato a godermi quei momenti. L’ultima festa nel mio motorhome è stata in Austria nel 2018 e da allora non ce ne sono state più: pensavo che avrei fatto risultati anche con Honda, ma l’incidente di Assen ha cambiato ogni prospettiva".
Tornare? Sono disponibile, ma dipende da Dorna
Eccolo il rammarico che giustifica quasi una volontà di ritorno. Certamente per fare altro, ma per vivere il paddock anche con la leggerezza con cui hanno potuto viverlo molti degli altri, lasciando a casa quella fame che lo ha accompagnato per gran parte della sua carriera e che ha saputo soddisfare, senza, però, imparare a metabolizzare secondo il criterio dell’umanità. Anche per un desiderio di rivalsa che veniva da lontano. “Nel 1999 avevo dodici anni e Crivillè vinse il titolo della Classe Regina – ha raccontato ancora – Vidi la sua gara in Brasile dalla mia casa di Maiorca: una casa umilissima e con una TV vecchissima perché non avevamo molto. Alex fu il primo spagnolo della storia a vincere e dissi a me stesso che avrei voluto essere il secondo e circa 10 anni dopo ce l’ho fatta. Lo ammetto: quando ci sono riuscito mi sono commosso. Quest’anno per la prima volta sto sentendo un po’ di vera nostalgia del mio passato nelle corse. All’inizio sono stato molto felice e mi sono goduto la vita senza gare. Però quello che provi quando vinci una gara della MotoGP o quando sei un campione della MotoGP, quell'incredibile scarica di adrenalina, sai che non potrai mai più provarla. A Aragon, ad esempio, quando ho visto la festa che Marc Márquez si stava godendo dopo la vittoria con la sua squadra ho pensato che a me non potrà succedere più. Tornare? Sono disponibile, ma dipende da Dorna”.