A leggere le prime pagine e i titoli dei giornali sportivi (cioè, in Italia, calcistici) del giorno prima non ci si crede: “La notte dei geni” (Corriere dello Sport), “Allegri ha parlato di «partita bellissima». Juve-Milan lo sarà certamente” (Corriere dello Sport), “Da girar la testa” (La Gazzetta Sportiva), “Juve-Milan sarà spettacolo” (La Gazzetta Sportiva).
E il bello è che lo sapevano tutti (o avrebbero dovuto saperlo, essendo del mestiere) che sarebbe andata così, così com’era andata così lo scorso anno. Juve-Milan dei tempi recenti era già l’anticalcio, due squadre gemellate nel non-gioco. E come sarebbe potuta andare diversamente nella rimpatriata tra il non-giochista supremo Max Allegri (tornato al Milan dopo essere stato cacciato dalla Juve dopo essere tornato alla Juve dopo essere stato cacciato dalla Juve) e la sua rantolante ex creatura con in panchina l’attuale massimo esponente (a sua insaputa) del non-gioco, Igor Tudor? Un Tudor indistinguibile anche visivamente da dietro a bordo campo rispetto ad Allegri, se non fosse che Allegri almeno del non-gioco (e della difesa) è un vero maestro inconsapevole e ha vinto più trofei (dodici solo sulla panchina bianconera) di quanti il buon Tudor potrebbe vincerne in una cinquantina di vite (anche perché zero per cinquanta cosa fa?). Ma, al di là delle fanfaronate della stampa specializzata (nel fare titoli che il giorno dopo risultano ridicoli?), è andata anche peggio delle più realistiche aspettative. Il risultato: 0-0 assoluto, con la Juve uscita tra i fischi e Christian Vieri su Dazn a lodare (e compatire) il pubblico per essere rimasto allo Stadium fino alle fine dello “spettacolo” e a criticare una Juventus che si illude di poter vincere senza neppure provare ad attaccare (perfetta rappresentazione il fatto che la gara sia finita con la Juve cincischiante con il pallone a metà campo, senza nemmeno tentare l’ultima azione con almeno un minuto a disposizione). E per i bianconeri il bilancio sarebbe potuto essere anche più negativo: il Milan si è mangiato con Pulisic un rigore generosamente concesso e almeno un altro gol fatto con Leao.

Tuttosport, che alla vigilia non si era lasciato andare a promesse di intrattenimento che il campo non avrebbe mai potuto mantenere, dopo il match titola “Tutto qui?” e parla di “Juve-Milan flop” , mentre la Gazzetta si rifugia in un “Il Milan spreca e la Juve ringrazia” e nelle pagelle fa volare incredibilmente sufficienze (o più) per quasi tutti, mentre il Corriere dello Sport nasconde in prima pagina la partita precedentemente presentata come la più bellissima dell’anno (o forse della storia) in un riquadrino senza nomi delle squadre (“Tudor ringrazia Pulisic”) e al di là di una stroncatura di Ivan Zazzaroni incentrata su “Juve-Milan è stata soltanto un’ipotesi di partita di cartello alla quale non ha peraltro partecipato Jonathan David, un fantasma e pure goffo” (annacquata-sviata nel titolo “La Juve è indietro”) e da limitati passaggi all’interno del pezzo di cronaca, sfogliando il giornale chi non ha visto la partita potrebbe pensare che ci sia stata una partita definibile come tale, e che vede tra i tre-quattro highlights un penalty sparato in curva da uno statunitense e una caduta tragicomica di un presunto bomber canadese al momento del tiro (c’era una volta la Serie A italiana?).
“Uno 0-0 terrificante con Rugani a capo della ciurma è il miglior omaggio possibile che la Juventus poteva fare al suo vecchio Sensei”, la sintesi de La Ragione di Stato in un post con la foto di un fiero Allegri. Un po’ meno fieri dovrebbero esserlo tutti gli altri.

L’unico a non essere avvisato che Juve e Milan non sarebbero dovute scendere in campo è stato Luka Modric, che in alcuni momenti si è visto persino giocare a calcio, predicando a pedate a quarant’anni in un deserto tecnico-tattico, per quanto nemmeno lui in grande giornata. Ma, se il tifoso milanista può recriminare e può persino ritenersi moderatamente soddisfatto per la situazione e l’inerzia della stagione della propria squadra, quello juventino si può solo disperare: la combo giocatori-modulo-allenatore (e società?) promette nuovi dolori. Per le gioie se ne riparla, come ormai da troppi anni a questa parte, l’anno prossimo.

Ma al di là dei singoli (che però, sommati, sono tutto), la verità è che questa Juventus non sa più vincere. Non sa gestire, come ha detto Marchisio: subisce, si abbassa, si confonde. Non ha la spina dorsale che Llorente ricordava come fondamentale dieci anni fa (sottolineando come quell’ossatura fosse italiana, per fare da garante anche emotivo). In fondo la Juventus di oggi è tutta qui, una squadra che continua a cambiare giocatori, allenatori, assetti, ma finisce sempre nello stesso punto: niente certezze, niente vittorie, solo l’ennesimo pareggio, solo la continua discesa verso la mediocrità.
E se davvero questa è la nuova normalità, allora i tifosi hanno ragione a chiamarlo disastro. Perché il disastro non è pareggiare, non è sbagliare uomini o moduli, non sarebbe nemmeno perdere dopo aver giocato per vincere. Il disastro è quando la Juventus smette di sembrare la Juventus. E questo, ormai, succede da troppo tempo.