A inizio anno Valentino Rossi lo aveva detto: “Non è facile farsi ascoltare dagli ingegneri giapponesi”. Un approccio culturale, quello di Iwata, che nel motorsport rischia di costare caro dopo una annata in cui la Yamaha non s’è confermata come la migliore moto sulla piazza della MotoGP. Parole, quelle di Rossi, che a mondiale quasi finito sono state ripetute anche da Maverick Vinales e Fabio Quartararo. Perché se è vero che la M1 è la moto che ha vinto sei delle dodici gare fin qui disputate del mondiale 2020, è altrettanto vero che i troppi problemi hanno mandato in fumo la possibilità di conquistare l’iride in una stagione in cui il padrone assoluto degli ultimi anni, Marc Marquez, era fuori gioco. Qualche speranza ancora c’è, ma è chiaro che se anche Yamaha dovesse conquistare il mondiale, sarebbe a questo punto per (improbabili) demeriti degli altri. Nello specifico di Suzuki. Proprio il marchio a cui, almeno stando alle parole di Valentino Rossi e dei suoi colleghi, dovrebbe ispirarsi.
Il problema, è noto, è la “capacità di adattamento”. E’ come se in Yamaha fosse impossibile adeguarsi alle tante variabili che si presentato: gomme, temperature, asfalti, meteo. Con il risultato che ogni anno gli altri crescono e la M1 resta ferma. La metafora perfetta l’ha forgiata Maverick Vinales: “La M1 è perfetta se parte prima e resta prima, ma se succede qualcosa e bisogna fare i conti con gli altri, allora diventa impossibile giocarsela”. E’ così da sempre non in gara, ma in generale - dicono quelli che frequentano il paddock, ma la differenza, ora, è che Yamaha non riesce più a presentarsi ai nastri di partenza di ogni stagione con un gap significativo rispetto agli altri che, puntualmente, riescono quindi a recuperare e mettersi in pari in corso d’opera. Suzuki però è giapponese esattamente come Yamaha e gli ingegneri di Hamamatsu avranno certamente lo stesso approccio culturale di quelli di Iwata. La chiave, probabilmente, sta nel metodo e nel valore della “fantasia” o, se vogliamo, delle soluzioni estemporanee. “Il problema non è il 4 in linea – ha chiaramente detto Valentino Rossi - il nostro riferimento deve essere la Suzuki, dobbiamo imparare tanto da loro. Davide Brivio ha fatto un lavoro egregio, trovando un ottimo connubio tra il metodo giapponese e quello italiano/europeo. Credo che i nostri rivali siano più avanti tecnicamente e ingegneristicamente. E noi adesso non abbiamo costanza”.
Parole, quelle del nove volte campione del mondo, che probabilmente ha pronunciato lui – con la sua esperienza e il peso del suo personaggio - anche nome di tutti gli altri di Yamaha, che hanno espresso gli stessi concetti, ma in maniera meno diretta ed esplicita. “La Yamaha ha dei grandi piloti: non parlo di me, ma Quartararo, Vinales e Morbidelli sono veramente forti, con una moto competitiva si giocano il mondiale. Non è un problema di piloti, per Yamaha i problemi sono sempre gli stessi, gli altri hanno capito qualcosa che noi non abbiamo trovato. E’ vero che per l’anno prossimo i motori sono congelati, ma si possono fare tante cose attorno al motore per migliorare le prestazioni, dall’elettronica, a tenere il propulsore più freddo. Credo che la Yamaha abbia la possibilità di fare dei passi in avanti se lavora bene”. Parole, quelle del nove volte campione del mondo, che però sanno anche di futuro. Un futuro immediato, che significa 2021: la stagione che probabilmente lo vedrà per l’ultima volta al via ed in cui vorrà contare su una moto competitiva per congedarsi senza alcun rammarico. Ma anche di futuro più lontano, che significherà per lui ancora MotoGP, magari nel ruolo di team manager.
E’ noto, infatti, che la VR46 potrebbe rilevare il team eSponsorama Avintia ed è altrettanto noto che Carmelo Ezpeleta e Dorna non gradiscono che Ducati schieri sei moto piuttosto che quattro. L’endorsement di Valentino Rossi a Suzuki, quindi, potrebbe essere molto di più di una presa di coscienza su un metodo di lavoro, ma un vero e proprio corteggiamento. A Suzuki e a Davide Brivio, per mettere le basi già da adesso circa un possibile futuro insieme. Una prospettiva, questa, che potrebbe anche convincerlo a restare in sella ancora un anno, per far crescere il nuovo team e la nuova Suzuki grazie anche alla sua esperienza. Al di là del ruolo, manager (più probabile) o pilota (meno probabile), non una ipotesi del tutto assurda. E c’è chi è già pronto a scommetterci, visto che si parla già anche di piloti (dopo che Enea Bastianini e Luca Marini hanno firmato con Ducati). I nomi sono quelli di Andrea Dovizioso, che tornerebbe clamorosamente nel mondiale dopo l’anno sabbatico dedicato al motocross, nel ruolo di pilota esperto, e Marco Bezzecchi, attuale stella nascente della Moto2 e del Team Sky Racing VR46.
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