La MotoGP ha cominciato a stiracchiarsi sul circuito di Sepang, inaugurato da esordienti e collaudatori a un mese alla prima gara. L’effetto è un po’ primo giorno di scuola, un miscuglio tra piloti spaesati e altri preparati: c’è chi va subito velocissimo, come Raul Fernandez, e chi come Michele Pirro non è mai andato piano. Sulle prime vedere Darryn Binder guidare la Yamaha, la stessa che due anni fa vinceva più gare degli ufficiali, fa un certo effetto. Niente però a confronto con la moto numero 49, quella tutta azzurra di Fabio Di Giannantonio. Per il colore, per la sua storia, per il pilota che c’è sopra.
A parlare di queste cose si rischia sempre di fare retorica: il coraggio nella disperazione, il ciclo della vita e altri discorsi noiosissimi di cui nessuno ha bisogno. Lo sport però è vero ed è vero anche quello che sta succedendo tra la Malesia e Faenza, alla Gresini Racing. Paolo Beltramo, in un’intervista di qualche giorno fa, rifletteva sul fatto che per Nadia Padovani sarà durissima: una donna in MotoGP, diceva Paolone, non avrà mai lo stesso peso politico di suo marito. Intendiamoci, pensare a un Beltramo maschilista è tanto faticoso quanto pensarlo razionale, eppure lui parlava razionalmente. Moreno Pisto invece, che in casa di Nadia e Fausto è entrato per una lunga intervista a tre giorni dal funerale, dice che Beltramo non conosce abbastanza Nadia. Nadia, dice, ha due palle così.
Lei le moto le ha odiate profondamente perché l’amore di Fausto era spesso lì, tutto lì, tra l’ufficio e l’officina. Puoi competere con un’altra donna, avrà pensato, ma con questi missili di ferro su ruote è un’altra partita. Eppure Gresini deve aver trovato il modo di farle apprezzare il suo mondo, dove l’equilibrio sulla moto è l’ultimo dei problemi di equilibrio che puoi avere. Soldi che entrano, soldi che escono. Lì in mezzo c’è la gente che lavora, i funamboli che si schiacciano sul serbatoio vedere i 340 Km/h mentre la lucina del limitatore lampeggia sulla visiera. Quel casino spaventoso che fa una moto quando l’accendi, la tartagliata in pit-lane a sessanta all’ora, il prosecco sul podio. Nadia ha preso tutto quello che le ha lasciato Fausto e si è buttata nel tritacarne assieme a due moto di un azzurro Garelli e tutta la fede che riescono a trasportare.
Una famiglia che vive mettendo il proprio tutto nelle corse è roba da regionale di minimoto o da texani benzinati con il caravan, non da MotoGP 2022. In MotoGP ci sono migliaia di persone che guardano svogliate lo show e altre disposte a picchiare un uomo seduto al cesso per rubargli il posto. Quanto reggi lì dentro lo sanno tutti. Quanto soffri, tra i camion e l’asfalto, lo vede chiunque. Dovizioso racconta che, da bambino, doveva vincere le gare per tirare fuori i soldi della benzina del ritorno. Magari glielo diceva suo padre per motivarlo, magari invece gli è capitato anche di fare un po’ di strada a piedi. Per la Gresini Racing sarà così, ma la benzina la dovranno mettere agli aerei che spostano le moto da un continente all’altro. Darla alla squadra, alle settanta persone che ci lavorano. La MotoGP non è il regionale di minimoto, è tutto più grande rischi compresi. Può darsi che Nadia Padovani non sappia come parlare a Ezpeleta o come riuscire a tirare fuori un demonio dai piloti ma il rischio, Nadia, lo conosce meglio di noi. E quello che ha fatto quest’anno, mettendo due moto colorate d’azzurro in MotoGP, è una delle cose più grandi che si siano viste nel motomondiale di oggi. Poi uno se ne dimentica, va a vedere i tempi, studia le moto, sente le dichiarazioni. Quell’azzurro lì non ha decine di adesivi a coprirlo ma proprio per questo è il colore più bello della griglia di partenza. È puro. Che poi, come colore, è stato progettato per stare in alto.