Quando passano sul dritto la velocità ti arriva come uno schiaffo. Per lo spostamento d’aria, più che altro. La MotoE va fortissimo sul rettilineo di Portimão, fa paura, è un sibilo che sarebbe piaciuto a George Lucas per rendere più vero Star Wars. Siamo in Portogallo, è la prima gara europea della stagione per la MotoGP 2024 nonché la prima del campionato con le moto elettriche che quest’anno sarà presente in otto tappe (europee) del motomondiale. Giulio Fabbri, Direttore della Comunicazione Prodotto per Ducati, ci invita a vedere queste moto da vicino, a fare una passeggiata in griglia prima che partano. Impossibile rifiutare: vedere una gara dal muretto è sempre una buona idea, se puoi entrare anche sullo schieramento di partenza mentre i ragazzi si preparano a fare la loro magia è anche meglio. La MotoE corre due gare, entrambe di sabato, una dopo le qualifiche della MotoGP e la seconda dopo la Sprint. È una categoria un po’ bistrattata in termini mediatici e proprio per questo offre diversi spunti di riflessione. Per gli sponsor, per i piloti, per come vanno le cose. In questo senso la MotoE è come la California per i cowboy o l’Australia per gli inglesi: ci arrivi in cerca d’altro, magari come ripiego, poi finisci per innamorartene e rimani lì, contento di vivere un mondo con regole diverse.
Tutti i piloti qui corrono con la Ducati V21L, che ha debuttato nel 2023 e il prossimo anno verrà sostituita con una versione completamente nuova. Capiamo in fretta che quello della MotoE è un bel lavoro se fai l’ingegnere: non hai competitor, perché è un monomarca. Nessuno ha mai fatto qualcosa di meglio rispetto a quello che offri tu, quindi puoi sperimentare. Puoi studiare, inventare, provare e testare, il tutto senza grossi limiti. La MotoE per esempio non ha il freno posteriore, o meglio: ha la leva - a pedale, oppure a pollice se il pilota la preferisce - ma non c’è disco né pinza, il freno interviene direttamente sul freno motore, per altro ricaricando la batteria come succede sulle auto ibride.
Roberto Cané, Direttore E-Mobility Ducati Motor, ci racconta che questo mezzo ti porta a ragionare in maniera diversa, educandoti a quello che qualcuno chiama pensiero laterale. Per esempio a scaldarsi di più in questo caso è il pacco batterie, che pesa 110 Kg - quasi la metà della moto - così tra le 1.200 celle di cui è composto corre una serpentina pensata per garantire un raffreddamento costante. Per i piloti questo si traduce in un approccio diverso alla corsa: con la MotoE se sei in scia vai più piano proprio perché le batterie si scaldano di più e la moto eroga meno potenza, quindi stare in fondo a un trenino di piloti non paga per fare il tempo.
Un cambiamento cruciale per questa categoria (dal 2024) è rappresentato dagli pneumatici: Michelin ha sviluppato gomme completamente nuove appositamente per la Ducati V21L, riconoscibili in un attimo perché la superficie della mescola è coperta da una ragnatela vellutata per ricordare che si tratta di un prodotto composto al 50% da materiali riciclati. L'anno scorso invece gli pneumatici erano gli stessi impiegati negli anni di MotoE a monomarca Energica, moto radicalmente diversa in quanto costruita partendo da un modello stradale. Per questo nel 2024 le gare restituiscono un’intensità diversa.
La cosa brutale della MotoE è che i piloti partono senza quel giro di warm-up che invece viene concesso in tutte le categorie per preparare le gomme e dare un’ultima occhiata alla pista. Qui invece entrano in pista, si schierano, ricaricano la moto e quando se ne vanno i meccanici (assieme a noi, che quel momento di pura poesia l'abbiamo vissuto lì) parte la gara, che in Portogallo è di sette giri. E poi via, una sequela di sorpassi, sportellate, cadute. Proiettili che attraversano l’aria sul rettilineo. Le altre categorie fanno un casino che ti entra dentro e ti porta ad avere rispetto per i piloti e lo sport, perché è come vedere della gente governare dei missili in metallo. Con la MotoE la sensazione è diversa: vorresti salirci, capire cosa si prova ad essere lanciati così violentemente a velocità esagerate - nei primi metri l’accelerazione batte quella della MotoGP - e affrontare la pista con questo prototipo che amplifica le sensazioni. Questo perché se ti metti a bordo pista a guardare una curva senti la saponetta che sfrega contro l’asfalto, il rullare di moto e ginocchia sul cordolo, il posteriore che grida come un bimbo alle giostre. C’è una bella spinta emotiva a sentire questi suoni, solo che raccontare questa roba è un lavoro che nessuno può fare per motivi di tempo, di copertura televisiva e di mezzi tecnici. Finita la corsa - vinta da Nicholas Spinelli, mentre Gara 2 andrà al campione in carica Mattia Casadei - andiamo a fare un giro nell’E-Paddock, la zona dedicata a questo campionato.
Qui non ci sono i box, che sono rimpiazzati da dei gazebo leggermente rialzati, tutti vicini tra loro, divisi in due file messe una di fronte all’altra. La gente in mezzo chiacchiera, lavora, passeggia. Tutto il paddock occupa meno di mezzo campo da calcio, così anche i piloti stanno sempre piuttosto vicini. La gente si aiuta, è tutto artigianale e, addirittura, un box è dedicato esclusivamente ai ricambi, puoi anche prenderti una moto intera se la tua è completamente demolita. È bello che ogni telaio MotoE abbia un nome: Caterina, Eleonora, Marta. Sono stati scelti dagli uomini che hanno costruito queste moto, ognuno ha dato il nome di una donna della sua vita. “Qualcuno ha scelto la moglie, qualcun altro la figlia, la sorella”, racconta Giulio Fabbri quando gli chiediamo di queste incisioni.
Se questa roba non è ancora arrivata a tutti probabilmente è perché manca la possibilità di guidare mezzi così in pista per gli amatori, gente che fa turni da 15 minuti, torna al box, guarda il video della GoPro e poi torna dentro con l’idea di fare un po’ meglio. A livello tecnico si potrebbe fare, in termini di costi invece no. Eppure se la gente cominciasse a guidare queste macchine silenziose e piene di tecnologia probabilmente si metterebbe in fila per vedere le gare. Tra le novità 2024 invece c'è la Ducati MotoE biposto, che ha sostituito la MotoGP col doppio sedile dedicata ai pochi fortunati che sono riusciti a farcisi un giro. Curioso che chi le ha provate entrambe racconti di come la MotoGP che (e frena) più forte impressioni meno dell’elettrica: col fatto che senti tutti i rumori che normalmente vengono coperti dal motore, l’esperienza diventa totalizzante.
A fine giornata, camminando tra un tendone e l’altro, ci accorgiamo di una cosa: la MotoE è come la vecchia 500. È un grosso corto circuito per cui lo spirito di quella roba lì, sporca e rock n’ roll, lo si possa ritrovare soprattutto tra le moto elettriche. Qui non c’è la strategia della scia, vai più forte se stai davanti e vince quello con più manetta. E poi è tutto artigianale, il paddock è aperto e per i piloti, nessuno escluso, quello della MotoE non è mai un impegno esclusivo: lo fai assieme ad altro, come secondo lavoro, il che rende tutto un po’ più genuino rispetto a una MotoGP orami esasperata anche in termini di preparazione e coinvolgimento. Qui c’è grande spontaneità. Vuoi parlare con un pilota e puoi farlo quando ti pare, esattamente come raccontano i grandi vecchi del motomondiale quando pensano agli anni Settanta. Soprattutto, in MotoE è l’impulso dei piloti a decidere le corse: quel sorpasso un po’ più spinto, quella frenata troppo generosa e un’apertura del gas in anticipo rispetto agli altri sono tutte decisioni che ti permettono di vincere o perdere una gara, di finire davanti o per terra. È tutto nel polso. Ironicamente, questa MotoE assomiglia al motociclismo di una volta anche in termini di pubblico: a seguire le corse della MotoE sono soprattutto dei nerds che vivono di questo, lontani dallo sport tradizionale e incompresi dalla maggior parte degli appassionati. È il motorsport per il pubblico indie, quello che arriva dieci minuti prima che una qualsiasi cosa cominci ad andare di moda.