Quattro gol presi in un tempo e tanta acqua caduta sulle teste dei giocatori. La mediocrità della Nazionale di Gennaro Gattuso dopo la sconfitta con la Norvegia è stato oggetto di analisi di più o meno chiunque, dai giornalisti ai frequentatori di bar. Poca personalità, zero carattere e nessun attaccamento alla maglia azzurra (qualcuno osa: “E nessun senso patriottico”). Ad oggi i playoff di marzo sembrano più uno spauracchio che un’ultima opportunità. Il Mondiale è l’orizzonte lontano. Ci sono poi le parole pronunciate dal ct nel post partita di Moldavia-Italia in merito alle modalità di accesso alla massima competizione internazionale: “Nel 1990 e nel 1994 c'erano due squadre africane, ora sono nove. Non è una polemica, ma ci sono delle difficoltà. Il Sudamerica ha sei squadre dirette al Mondiale con la settima ai playoff. Questo suscita rimpianti. Il sistema per l'Europa deve cambiare”. In primis, nella ricostruzione di Gattuso, c’è un errore, dato che nel 1994 le nazionali africane qualificate alla fase finale erano tre. Ma i dati riportati dalla Bbc vanno ancora più a fondo. I parametri di riferimento sono il ranking Fifa e le squadre di ogni continente che rientrano nella top 50, il meglio che c’è nel calcio internazionale.
I dati sulle qualificate
Ad oggi le squadre europee che parteciperanno al prossimo Mondiale rappresentano il 33,3% del totale (con solo il 29% di squadre che si qualificano automaticamente, senza passare dai playoff), mentre il totale delle Nazionali Uefa che rientrano nella top 50 è del 46,30%. Circa la metà delle compagini Uefa fa parte dei vertici del calcio mondiale, tenendo conto di questo indice sembra esserci una “sottorappresentanza” delle top nella competizione iridata. L’Africa, invece, porterà sette squadre nel mondiale americano: Tunisia, Algeria, Egitto, Ghana, Costa D’Avorio, Marocco, Senegal, Capo Verde e Sud Africa. Di queste, tutte tranne il Ghana (73esimo nel ranking) sono nelle prime 50 posizioni. A queste potrebbe aggiungersi una decima, la Repubblica Democratica del Congo, che però dovrà giocare il mini torneo a cui parteciperanno la vincente dello spareggio asiatico, la Bolivia, la Nuova Caledonia, Giamaica e Suriname. Le 9 squadre su 53 della federazione africana fanno il 21% di qualificate dirette, con solo il 14% delle squadre nella top 50. Le africane costituiranno il 18,7% di tutte le squadre che partiranno per l’America nel 2026. Quindi, seppur di poco, stando alla valutazione della classifica Fifa, c’è una leggera sovrarappresentanza. Diverso il discorso per l’Asia, continente che ha tra le prime 50 solamente l’8% delle squadre della federazione, mentre al Mondiale ne andranno 8, cioè il 19% (una quota del 16% sul totale delle qualificate di tutte le federazioni), il caso più palese di squilibrio tra qualità delle Nazionali e rappresentanza nella fase finale del Mondiale. In Sudamerica, invece, c’è un girone unico di dieci squadre in cui si qualificano direttamente le prime sei (la settima è la Bolivia, che come detto dovrà passare da un’ulteriore fase di accesso): otto su dieci, però, rientrano nella famosa top 50. Considerando che ai gironi dell’ultimo atto Mondiale partecipano 48 squadre, si vede facilmente che la percentuale di squadre sudamericane conta il 12,5% (che sale al 14,5% se la Bolivia si qualificasse). La Concacaf (federazione del Centro-Nord America), ha una rappresentanza più o meno in linea: accesso diretto a sei squadre (il 14% della federazione), con il 15 nelle prime 50 del ranking. Le parole di Gattuso suonano meno illogiche, se si guardano questi dati. Eppure qualcosa continua a non tornare.
Come funziona il ranking Fifa?
Il ranking Fifa è determinato principalmente da tre fattori, inseriti nella formula dell’algoritmo del modello Elo, usato anche negli scacchi per valutare i livelli di abilità relativa dei giocatori: risultato, importanza del match, valore dell’avversario. In passato c’era anche un coefficiente confederazione, che assegnava un valore a seconda della forza della federazione di appartenenza (nel caso di gare intercontinentali veniva fatta la media tra i valori delle due confederazioni). Oggi, però, quel coefficiente non rientra più nel modello. Le partite dei tornei continentali e Mondiali sono quelle che valgono di più in termini di punteggio. Quindi all’aumentare del numero di squadre di una confederazione nella fase finale del Mondiale, aumenta anche la possibilità di scalare il ranking Fifa grazie a risultati positivi. Le vittorie contro squadre top (parametro del “valore dell’avversario”), infatti, possono dare una spinta notevole al piazzamento di Nazionali “minori”, e l’opportunità di giocare contro le prime del ranking è più alta se si superano le qualificazioni. In sostanza, se più squadre di una determinata federazione accedono alla fase finale, è più probabile che queste migliorino la propria posizione nel ranking Fifa, dato che affrontano avversari più forti e che le vittorie nelle partite importanti valgono di più.
Altre considerazioni, invece, riguardano il carattere politico della posizione espressa da Gattuso, oltre che una certa postura intellettuale. Gianni Infantino, presidente Fifa (da unico candidato nel 2023 per il quadriennio), ha bisogno di consenso. Nel suo mandato l’allargamento del Mondiale è stato il più clamoroso: mai si erano viste 48 squadre alla fase finale, anche contando che gli Stati ospitanti sono tre e che questi si qualificano di diritto. Ma per essere eletto servono voti: è logico quindi che Infantino cerchi di coinvolgere quante più federazioni possibili nella competizione più importante. Se il prezzo da pagare è il fastidio di qualche ct europeo pazienza. Specie se quel ct allena una squadra nemmeno più così ambiziosa. Ci sarebbe anche da dire a proposito dell’opportunità di quelle parole di Gattuso. Senza per forza traslare questioni geopolitiche nel calcio, è evidente che il mondo non ha più un unico centro. Non è così a livello demografico (circa il 78% della popolazione mondiale vive in Asia o Africa), né tantomeno a livello culturale: altri blocchi, oltre a quello occidentale, stanno costruendo o rinforzando alleanze parallele. È un mondo multipolare, in cui il potere politico è attratto da diversi centri. Per non parlare, ovviamente, del lato economico della questione. Il calcio europeo rimane il più ricco, con la Premier League che fa categoria a sé in termini di introiti dai diritti tv e di spese nel calciomercato; le leghe principali contano ancora tanto, i migliori (e più preziosi) giocatori sono sotto contratto con squadre Uefa. Contemporaneamente, altre realtà stanno sgomitando: l’Arabia Saudita su tutte, che acquista campioni a fine carriera e giovani calciatori attratti dagli stipendi inarrivabili promessi dalle squadre controllate dal Pif, il fondo d’investimento saudita. Ed è sotto gli occhi di tutti il fatto che persino il successo di squadre europee dipende da soldi stranieri: il Manchester City dello sceicco emiratino Mansour, il Psg del qatariota Al-Khelaifi, il Newcastle del Pif, ovviamente, sono gli esempi più lampanti. Gianni Infantino era a cena alla Casa Bianca, ospite di Donald Trump e accompagnatore di Mohammed bin Salman. A tavola c’era pure Cristiano Ronaldo: il calcio è soft power. Un maestro come Julio Velasco lo dice meglio di tutti: nelle squadre che funzionano ognuno deve prendersi le responsabilità di scelte ed errori. E le presunte modalità ingiuste denunciate da Gattuso hanno l’odore di un alibi.