Luca Marini rientra in pitlane al termine del Gran Premio del Sachsenring e vede un capannello di gente che lo attende al di fuori del suo box. Hanno le braccia alzate, l'espressione appagata, un entusiasmo vivo addosso. Indossano le blasonatissime magliette del Team Honda ufficiale. Appena Luca ferma la RC213V sulla piazzola apposita, viene sommerso da una sventagliata di pacche sul casco. Lui ne trasferisce altrettante sul serbatoio della moto, ma in maniera più delicata, soffice. Le sussurra un qualcosa del genere: "Brava, hai fatto proprio la brava". Poi alza lo sguardo, vede i suoi meccanici - la sua gente - che vorrebbe strattonarlo. Smorza con garbo ogni iniziativa giosamente irruenta. Gli basta un semplice cenno con la mano per trasmettere ai meccanici una sofferenza lancinante. "Ragazzi sono morto, finito, non ce la faccio più". Sui propri passi, riesce con le ultime forze a raggiungere la seggiolina del box. Affonda il proprio peso sulla postazione da cui solitamente distribuisce indicazioni vispe, precise, attente, tecniche, ricercate. Adesso non ha energie per niente di tutto ciò. Si slaccia la tuta, si tocca la spalla sinistra, mentre l'espressione si dilania per il dolore. Luca Marini è devastato, ma felice. Padrone di una sensazione che ricorderà per sempre.
Ha chiuso la gara in sesta posizione. Miglior risultato stagionale, miglior piazzamento da quando guida la Honda. L'ha ottenuto ad un mese di distanza dall'incidente più tremendo della carriera, colpa di una marcia che non è entrata all'ingresso della velocissima curva uno di Suzuka, dove preparava la otto ore. Dove le barriere sono vicine: lussazione dell'anca sinistra, danni ai legamenti del ginocchio sinistro, fratture allo sterno e alla clavicola sinistra, pneumotorace al fianco destro. Una settimana immobilizzato su un lettino d'ospedale giapponese. Poi il rientro in Italia, gli abbracci delicatissimi con moglie e figlia, la fisioterapia, due Gran Premi da spettatore, un test a Brno per scacciare via i cattivi pensieri. E alla fine trenta giri consecutivi per portare a termine la gara del Sachsenring. Sulla carta, date le condizioni fisiche del numero 10, un massacro: in Sassonia si sta per quaranta secondi piegati sul lato sinistro, dove Luca si è praticamente rotto tutto. Ma poi c'è la pratica, e la storia motociclismo insegna che le buone sensazioni a volte sconfiggono postulati scientifici. In Germania Marini conserva bei ricordi: il primo podio in carriera in Moto2 e la prima top five in MotoGP. Il toboga tedesco gli piace.

Il Maro, dalla tredicesima casella, conserva il suo flow anche col corpo ammaccato. Per i primi venti giri resta ai margini della top ten, incollato agli scarichi di Brad Binder, che è risaputamente un mastino in difesa e gli tarpa le ali. Nel tentativo di organizzare un attacco calibrato, all'interno della traiettoria di Luca si infila Joan Mir. Siamo a metà gara, momento in cui l'effetto degli antidolorifici dovrebbe scemare, momento in cui Luca dovrebbe fisiologicamente calare. Invece al ventesimo giro - mentre tanti piloti sbagliano e vengono inghiottiti dalle insidie di curva uno - Marini scavalca sia Joan che Brad. Si mette all'inseguimento di Miller, distante un secondo abbondante. Un paio di passaggi per agganciarlo, altrettanti per sferrare un attacco perfetto in fondo al discesone, una violenta staccata a sinistra dove la clavicola di Luca urla e gli fa vedere le stelle. Poco più tardi, nella lunga fase di piega a sinistra, prova a rilassare il fisico staccando la gamba destra dalla pedana. Binder lo bracca, lo pressa, lo sfianca. Ma non c'è niente da fare: la gambona di Luca a penzoloni sulle colline della Sassonia è la firma definitiva di una domenica da urlo.
Le urla di dolore atroce che sganciava nell'aria di Suzuka, con una gamba fuori sede - dislocata nella ghiaia - Luca se le ricorda ancora. Ma adesso sono un po' più lontane, attutite e ricoperte da un grido tutto orgoglio e forza di volontà. Alle interviste Marini si presenterà col suo solito stile: pulito, lavato, asciugato, elegante, colletto della polo aggiustato in maniera impeccabile. La narrazione dominante della MotoGP forse continuerà a vederlo come un pilota metodico, razionale distaccato - e quindi indirettamente freddo. Eppure il numero dieci ha lasciato sull'asfalto una combinazione così potente di attributi, cuore, coraggio, grinta che - combinata all'abituale precisione chirurgica di guida - disegna la sagoma di un pilota unico, autore di un'impresa che ha pochi precedenti. Un fantasista che sbuffa, grida, stantuffa, sanguina, si straccia le vesti come fosse un mediano e poi, finita la battaglia, si asciuga il sudore con un panno di seta. Un eroe omerico in piena regola. Luca Marini: molto, ma molto di più di quello che sembra.