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Lucio Corsi voleva essere un duro, io invece volevo essere George Foreman. Oro olimpico, campione dei pesi massimi, coraggio da drago: storia di un uomo scolpito nella storia

  • di Lorenzo Monfredi Lorenzo Monfredi

22 marzo 2025

Lucio Corsi voleva essere un duro, io invece volevo essere George Foreman. Oro olimpico, campione dei pesi massimi, coraggio da drago: storia di un uomo scolpito nella storia
C'era un tempo in cui nel pugilato gli uomini non avevano timore di affrontare sfide difficili pur di raggiungere vette elevate. Big George era tra quelli. Era, perché è morto stanotte. È stata la prima notizia che ha invaso il mio feed monotematico. La sua storia è disarmante, è narrativa esplosiva potenziata col C4: chiunque tra noi potrebbe essere George Foreman, in senso metaforico

di Lorenzo Monfredi Lorenzo Monfredi

George Foreman ci insegna che non importa quando, non importa come, non importa in che modalità: la nostra naturale inclinazione verrà sempre fuori, anche se per lunghi anni abbiamo deciso di reprimerla. E il destino di Big G era quello di smantellare con i suoi pugni gli avversari sul ring. Nonostante per 10 anni si sia allontanato dalle sedici corde, Foreman è riuscito nell'impresa, tutt'oggi imbattuta, di tornare ad essere campione del mondo dei pesi massimi all'età di 45 anni e 169 giorni. Come è possibile? Beh, guardatevi il video del KO contro Michael Moorer. Un destro secco, che forse dallo schermino del vostro smartphone sembra quasi disimpegnato, una robetta facile, alla portata di tutti. In verità è un Frecciarossa slanciato che demolisce il suo avversario. D'altronde, la potenza è l'ultima qualità a svanire in un pugile. E Foreman, si sa, aveva i mattoni nelle mani. Quando l'arbitro incrocia le braccia a certificare il TKO, George si inginocchia sul ring, nell'angolo neutro, i guantoni intrecciati tra le corde, gli occhi che guardano tutto senza fissare niente: ha aspettato questo momento per quasi vent'anni.

Da quando in una notte leggendaria, il GOAT lo sconfisse a sua volta per kappaò tecnico. Stiamo parlando del combattimento del secolo, The Fight, il Rumble In The Jungle: Mohammed Alí contro George Foreman, 30 ottobre 1974. In quella notte, a Kinshasa, Zaire, Mohamed Alì mise in scena uno spettacolo da mitologia greca. E Foreman, purtroppo, pagò il conto dello sconfitto. Alì era semplicemente ingiocabile. Imboxabile, per coniare un nuovo neologismo. Ci si aspettava solo che prima o poi il destro spaventoso di Big G trovasse il tempo e l'angolo giusto del mento di Alì... e invece. Invece Alì cominciò a danzare, a sfruttare la mobilità superiore, la rapidità dei colpi, il molleggio Rope-A-Dope sulle corde, e inflisse un terribile knockout all'ottava ripresa a Foreman.

Foreman VS Alì, Rumble in the Jungle
Foreman VS Alì, Rumble in the Jungle.

Questa sconfitta lasciò scorie tossiche in Foreman. Non subito, perché continuò a combattere fino al 1977. Ma dopo una sconfitta brutta contro Jimmy Young, Foreman decise di ritirarsi dal pugilato. Aveva un malessere devastante dentro di sé, che non lo lasciava respirare. Per questo, scelse di diventare predicatore di Chiesa da Cristiano Riformato, dedicandosi alla spiritualità. Dieci anni lontano da tutto.

Ma la tua vera natura non la puoi ignorare.

Quante volte abbiamo accantonato sogni, passioni, obiettivi, perché non ci sentivamo all'altezza? Quante scelte di comodo abbiamo fatto, pur di ottemperare alle convenzioni sociali che ci imbrigliano come una rete a strascico, convincendoci ad accettare cose che non ci fanno pulsare il cuore e serrare le mandibole ma che ci danno "tranquillità"? Quanti percorsi abbiamo abbandonato, condizionati dal giudizio degli altri?

Cazzo, deve aver pensato Foreman, io non posso essere ricordato solo come quello che è stato demolito da Alì. Io sono George Foreman. Io spezzo gli avversari. Io vengo dalla povertà, dal Texas, facevo le rapine per campare alla giornata. Dio mi ha dato un dono. Devo farci qualcosa.

Ed è così che Foreman tornò a combattere, a distanza di tredici anni da Kinshasa e da Alì, nel 1987. Senza scorciatoie. Senza scelte di comodo, senza cinture comprate. The hard way. Ha combattuto da over quarantenne contro Evander Holyfield, il mattatore di Tyson, contro la potenziale promessa bianca Tommy Morrison. Ha perso con entrambi, ma non importa. Non importa. Il cammino è fatto di questo. Fino ad arrivare alla sera del 5 novembre 1994. Michael Moorer, campione in carica del titolo IBF e WBA, scelse volontariamente di combattere con Foreman. Che incroci strani il destino. Poteva unificare con Lennox Lewis, e invece scelse di andare contro Big George. Tanto, se è stato battuto da Morrison e da Holyfield, lo batterò anche io. È solo un vecchio che vuole fare soldi per il suo business da ristoratore e da venditore di barbecue, deve aver pensato Moorer. Chissà che cosa ha pensato, poi, dopo essersi trovato con la schiena sul tappeto del ring.

Ripensare al cammino di Foreman è commovente. Ha battuto prima di tutto le sue insicurezze e i suoi demoni. Poi ha battuto gli avversari sul ring. Cazzo. Non è da tutti.

La boxe è bellissima. Grazie Foreman, sei e resterai leggenda.

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