La fotografia più riuscita sul Manchester City viene da un editoriale su un quotidiano inglese, il Guardian, che sempre più spesso dice, anzi scrive le cose come stanno. Ovvero che viviamo il regno del City, del Newcastle, del Paris Saint Germain, “autocrazie che non credono nello stato di diritto ma solo nel diritto di ottenere ciò che vogliono”. L'autorevole quotidiano paragona l’era del City (ma anche della Juventus, messa nel conto per aver declinato a modo suo le regole) a quella dei record mondiali a pioggia nel nuoto all’epoca dei costumoni. In sostanza, il City e un altro pugno di squadre nelle mani di sauditi, emiri e qatarioti, avrebbero drogato il mercato del calcio, gonfiando le spese per acquisto di calciatori, stipendi di atleti e allenatori. Una bolla che attualmente avvolge la Premier League, dove i costi di gestione sono esorbitanti e l’eventuale esplosione produrrebbe danni a catena nell’intero movimento europeo. Insomma, si avverte l’augurio che sia soltanto una fase del pallone, possibilmente da dimenticare in fretta. Una visione forse troppo manichea, anche se va ricordato che un’indagine durata cinque anni da parte della Premier League ha tracciato un quadro nebuloso sulla condizione del City, deferito a febbraio per oltre 100 violazioni di carattere finanziario, tra cui la mancata diffusione in maniera trasparente dei costi degli stipendi al potenziale mancato rispetto dei FFP e alla violazione delle norme su profitto e sostenibilità.
Il rischio è che i Citizens, che sono la punta del City Football Group, il fondo di proprietà dell’Abu Dhabi United Group che possiede una dozzina di squadre in giro per il mondo, possano perdere la Premier League e di conseguenza quella Champions League che si giocherà in finale con l’Inter, il 10 giugno, a Istanbul. Pep Guardiola, che è l’architetto del City che in sette anni ha vinto cinque volte la Premier League e tutto quello che c’era da vincere (esclusa la Champions League), ha detto nelle ultime interviste che auspica una chiusura dell’inchiesta della Premier in tempi brevi e che lui resterà in ogni caso sulla panca del club di Manchester. Sicuramente rappresenta un paradosso per il City la possibilità di vincere finalmente la Coppa che manca, per cui sono stati investiti oltre un miliardo di euro in una decina di anni e poi rischiare di perdere l’accesso alla Coppa, per le molteplici violazioni finanziarie.
È altrettanto certo che per il City, per il Psg, l’applicazione delle norme del Fair Play Finanziario non ha rappresentato un argine a una gestione assai discussa e discutibile dei conti. Il City era stato squalificato nel 2020 per due anni (con assenza dalle competizioni europee) per la violazione del Fair Play Finanziario tra il 2009 e il 2018: la Corte Arbitrale dello Sport (CAS) con sede a Losanna ha annullato il provvedimento. E quindi se il City vincesse la Coppa con una squadra costruita negli anni aggirando norme e paletti finanziari, forse sarebbe giusto che la Champions League (se dovesse spuntarla sull’Inter in Turchia) finisse ai nerazzurri, in caso di squalifica per Guardiola e compagni. Sebbene la situazione finanziaria del club milanese è tutt’altro che positiva: “club sull’orlo del baratro finanziario”, ha scritto qualche giorno fa Bloomberg, ricordando che l’Inter (punita con una multa da quattro milioni di euro lo scorso settembre dall’Uefa per violazione del FFP) nel 2021 ha ottenuto un prestito di emergenza da 275 milioni di euro dal fondo Oaktree Capital e che con i tassi di interesse verso l’alto proprio Oaktree potrebbe poi entrare in possesso della società. Lo stesso percorso che nel 2018 ha portato il Milan nelle mani del Gruppo Elliott.